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January 2022

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Evitare il rischio di uccidere  due volte il nostro mare

Evitare il rischio di uccidere due volte il nostro mare

Visioni
di Gigi Mangia

Sostenere la conoscenza, tenere gli occhi attenti e la mente aperta. La Terra, il clima, la natura, la nostra vita dipendono dal mare. Ne abbiamo abusato e siamo stati incapaci di rispettarlo. Abbiamo costruito dove non dovevamo farlo. Nella nostra incoscienza abbiamo buttato nelle sue acque rifiuti di ogni genere e i fondali, sono oggi discariche che non si vedono e sono la morte del mare.

È la plastica ad essere la causa principale sia della morte del mare che della morte dei pesci. L’aumento della temperatura dell’acqua, la plastica e rifiuti industriali, hanno causato la prima morte del mare. Ora c’è un secondo pericolo, una seconda morte per il mare: costruirvi grandi impianti industriali di pale eoliche alte 250 metri, come si vuole fare nel basso Adriatico, tra Otranto e Santa Maria di Leuca.

La costa Otranto-Leuca è la più bella d’Italia e il suo paesaggio è fra i più belli dell’intero Mediterraneo in Europa. Il danno delle grandi pale, non è solo lo sfregio al paesaggio, ma è anche un danno gravissimo alla salute del mare nel canale d’Otranto fra Italia e Albania. Lì, grazie alle acque non ancora inquinate, vivono meravigliosi delfini, la cui presenza è incompatibile alle pale eoliche piantate nella profondità
del fondale. La presenza dei delfini non è solo la resistenza della bellezza, ma è anche la felicità unica di poter fare il bagno con loro. I delfini sono il termometro della vita del mare, misurano infatti, la salute delle sue acque. La scelta è scellerata per il mare, dannosa e distruttiva per l’economia turistica dell’intera Puglia.

Il mare è stato trascurato e sacrificato. La legge dei parchi marini è stata disattesa, stabiliva infatti la costruzione del 30% di parchi per tutelare le coste e le acque. Ad oggi invece,i parchi marini sono inferiori al 7% e siamo il Paese del turismo culturale del mare.

Mi chiedo se la transizione energetica delle fonti rinnovabili debba essere sempre pagata dal sud e, in particolare, dalla Puglia. Chi deve indagare sulle conseguenze di un impianto industriale in mare, come quello eolico, che nascerebbe davanti alla città d’Otranto e a Porto Badisco, sbarco di Enea? Gli scienziati non hanno il dovere, forse, di rispettare le risorse e la vocazione del territorio? Il PNRR prevede davvero la distruzione del paesaggio del mare salentino e della Puglia o è, forse, ancora causa della debolezza e dell’incapacità della nostra classe dirigente inadeguata alla grande sfida della transizione ecologica? La conoscenza non deve avere sempre occhi attenti e mente aperta per vedere il futuro?

Bisogna lottare unirsi ai sindaci per non uccidere due volte il nostro mare e per non perdere il piacere di vedere sorgere al primo mattino la luce rosa d’Oriente:

“La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.”

Versi della poesia “Il Mattino” di Cesare Pavese.

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Una civiltà senza cuore

Visioni
di Gigi Mangia

Mi chiedo: quale Natale può vivere un bambino innocente e senza colpa in una civiltà senza cuore, che chiude gli occhi per non vedere e gira le spalle per disinteressarsi della sua vita crudele di indifferente abbandono?

Sul Corriere della Sera del 29/11, Lorenzo Cremonese, nel suo servizio in Afghanistan, scrive “nel Paese dei talebani, all’estremo dell’economia, ci sono almeno un milione di bambini che rischiano di morire di fame. Ci sono genitori incapaci di dare cibo ai loro figli e vendono quindi, i bambini per 500 dollari, mentre le bambine sono vendute a 1500 dollari, destinate ad essere spose in tenerissima età”.

Ai confini fra la Polonia e la Bielorussia e lungo la rotta dei Paesi Balcani ci sono bambini che muoiono di fame e di freddo. I loro volti sono già invecchiati dal freddo. Le rughe, gli occhi chiusi e i pochi capelli, sono i segni della violenza del freddo e della fame. La loro casa è il buio gelato. La loro stanza dei sogni è il bosco popolato da ombre spaventose che interrogano il freddo della notte, che dura e non finisce mai. Sono bambini, tutti nati per pagare il conto di una guerra di cui non hanno nessuna responsabilità e neppure hanno scelto di vivere.

Mi chiedo: quale può essere l’orizzonte affettivo di un bambino a cui è stato negato di vivere e sognare, di giocare e studiare, di amare ed essere rispettato, di avere una mamma, sentire la sua voce e imparare da lei le parole per vivere. Dopo l’inferno dei bambini abbandonati, senza avere avuto un destino, quale sarà la società del futuro se nelle vene
della storia scorre odio?

Continua ad avere senso, la festa del Natale, di una civiltà senza cuore? Sono tutte domande che rientrano nell’interesse del teatro, dove la grammatica della creatività può rispondere e può anche indicare una strada: cancellare la vergogna di chiudere gli occhi per non vedere il
dolore dell’altro perché è lontano, oltre la nostra frontiera.

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Nel teatro l’albero
di Eugenio Barba

Critica
di Gigi Mangia

Teatro Koreja e l’Odin Teatret di Eugenio Barba, condividono l’organizzazione del fare e vivere il teatro, di studiare, di lavorare e fare ricerca, di stare nella storia e non chiudere mai le porte del teatro alla società. Eugenio Barba è un maestro, una forza di sperimentazione nel teatro, un’intelligenza profonda e consapevole dei conflitti, compreso quello della guerra fra Ebrei e Musulmani.

L’albero, nel suo frutto, segna il passaggio dall’utopia all’anarchia. Un messaggio, questo, politico di un intellettuale di 85 anni che vale più di una speranza, ha la forza di un testamento. Eugenio Barba, nel suo lavoro, non cerca le ragioni della guerra ebraico-musulmana, ma le radici della divisione delle due fedi e il fallimento di Dio nelle rispettive fedi.

Il maestro dell’Odin Teatret, rifiuta la puzza della menzogna per liberarsi del male del potere della religione come conflitto e spargimento di sangue. La strada è quella dell’albero. L’albero indica il passato e il futuro. In esso vive la tradizione e la continuità del tempo.

L’albero, infatti, ha le radici nella terra, vive della luce e cresce con l’acqua e l’aria. L’albero unisce il buio e la luce, il giorno con la notte. gli uccelli abitano il cielo e l’albero è la loro casa senza mura ed è lo spazio libero dove scoprire e vivere l’assoluta libertà.

L’albero non secca, la terra non fa mancare il suo nutrimento al frutto per permettergli il passaggio: dall’utopia all’anarchia, dove l’uomo non ha più bisogno di combattere per difendere la fede, perché si è liberato del bisogno di avere un Dio. Il teatro di Eugenio Barba è quello del pensiero libero, dove l’arte della creatività disegna il futuro dell’uomo libero nella Legge.

Dovevo queste righe di riflessione a Eugenio Barba. Lo avevo promesso giovedì, quando ho potuto apprezzare e seguire il suo capolavoro.

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Adelina Sejdini, una donna morta suicida

Visioni
di Gigi Mangia

La morte di Adelina, di una donna che lottò con tutte le sue forze contro la tratta della prostituzione, riempie per un giorno, le pagine di cronaca dei giornali. Poi finisce, senza lasciare un segno. Leggiamo e studiamo le lotte delle donne, ma poi non sappiamo dare risposta alle loro domande.

Adelina non aveva nemmeno 15 anni, quando fu presa da Durazzo e fu costretta, dalla criminalità albanese, a prostituirsi in Italia. Lottò con tutte le sue forze per difendere donne come lei e fece arrestare tanti criminali del sesso. Adelina amava l’Albania, ma il suo sogno era quello di diventare una cittadina italiana. Sabato 6 novembre, Adelina ha contestato l’inspiegabile comportamento di chiusura, nei suoi confronti, della burocrazia verso la sua domanda, con un gesto pubblico ma molto chiaro, dandosi fuoco davanti al Ministero degli Interni. Gravemente ustionata è stata ricoverata all’Ospedale Santo Spirito di Roma. Il gesto di Adelina manifesta la disperazione di un dramma incompreso, di una donna sola, disperata, malata di cancro, nel vuoto sociale, che chiedeva di essere cittadina italiana. Invece di capire ed ascoltare le è stato consegnato il foglio di via. Adelina Sejdini ha
firmato le sue dimissioni dall’ospedale e poi si è allontanata, ha raggiunto il Ponte Garibaldi sul Tevere, da dove si è lanciata nel vuoto, per scrivere la fine della sua vita. Adelina ha trovato la sua libertà dal dolore e l’accoglienza nella morte, che non rifiuta mai di accogliere i disperati e gli scarti della società. Gli “ultimi” che non trovano accoglienza nella politica. Adelina ha lottato per più di 20 anni, per liberare donne come lei dalla prostituzione. Ha collaborato con la polizia, senza vedere mai riconosciuto il suo impegno. Senza ottenere mai la cittadinanza italiana, che era il suo sogno.

La storia del sacrificio di Adelina orienta il faro sugli egoismi di una società che crede di essere civile, senza essere capace però, di riconoscere il valore delle persone.

Per tenere lontane le persone scomode, costruiamo muri, inventiamo malattie. Leggiamo le pagine di Freud per spiegare la pulsione sessuale maschile come bisogno di possesso, di dominio del corpo della donna.
Interpretiamo la prostituzione come un comportamento naturale spinto
dall’impulso di Thanatos, l’energia dell’inconscio che anima il comportamento maschile.

Il mercato del corpo della donna, il sesso a pagamento, sono la storia vecchia che il potere non vuole cambiare ed oggi è in preoccupante aumento. Adelina è morta perché noi non abbiamo avuto gli occhi per vedere, le orecchie per sentire, le mani per toccare.

Il 25 Novembre, per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, scriviamo sulle porte dell’universo femminile: “tolleranza zero, senza se e senza ma, ai criminali del traffico del corpo delle donne e lo sfruttamento della prostituzione” e affermiamo con voce
convinta e sincera “mai, mai, mai più violenza sulle donne”.

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L’inferno nella foresta ad est della Polonia

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di Gigi Mangia

Nella foresta, ad est della Polonia, ci sono immigrati che cercano di entrare in Europa sfidando difficoltà insormontabili, vivono in condizioni inumane, costretti ad affrontare temperature molto rigide di 8 gradi sotto lo zero, senza coperte, senza a acqua e pane. Le donne e i bambini vivono nell’inferno gelato, morendo nel silenzio ghiacciato. Fra la Polonia e la Bielorussia, c’è un filo spinato che separa due linguaggi in lotta fra di loro. Ci sono i corpi dei bambini a piedi nudi nella terra ghiacciata, ci sono le donne che cercano di proteggerli con il calore dei loro corpi stringendoli al petto. Ci sono profughi padri, che cercano di tagliare il filo spinato per entrare in Europa, dove trovare accoglienza. Dall’altra parte del filo, ci sono i militari polacchi armati per respingere i disperati, per difendere i confini, per mandare indietro gli irregolari senza permesso di soggiorno.

Il filo spinato separa il linguaggio dei disperati da quello degli Stati europei contrari all’accoglienza. È una guerra, la chiamano “ibrida”, ma invece è una guerra vera e crudele. Per respingere cinquemila disperati, ci sono quindicimila soldati autorizzati dal Governo polacco a usare gas lacrimogeni e a sparare, con i cannoni, acqua congelata contro donne e bambini nudi e disarmati. La guerra contro i disperati è una guerra più dura e violenta rispetto a quella normale perché è un crimine contro l’umanità, fatta nel disprezzo del diverso. Contro questa guerra, che nessuno vuol vedere, non c’è la vecchia Europa, la quale ha perso le radici cristiane, non ha più Dio, e ha dimenticato anche i vangeli. È l’Europa malata e respira il sociale avvelenato perché nelle vene degli Stati scorre la paura del diverso e invade le nostre città, dove porta violenza e malattia secondo i benpensanti. L’Europa delle frontiere, che chiude gli occhi per non vedere e per essere facilitata a girare le spalle agli immigrati al confine.

È quell’Europa in cui l’uomo è diventato incapace di essere umano e di negare il pensiero del filosofo Nietzsche nell’opera “Così parlò Zarathustra” e anche di cancellare le pagine di Alessandro Leogrande, scomparso quattro anni fa. Senza memoria non c’è futuro, senza conoscenza non ci può essere progresso sociale e non si può vivere neanche la cultura della convivialità delle differenze, insegnata dal grande sacerdote e profeta Don Tonino Bello.

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immagine di copertina Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

Contrario all’abolizione del compito scritto di italiano a scuola

Visioni
di Gigi Mangia

Avere e seguire con intelligenza il tempo del cambiamento della scuola, è un compito serio e responsabile. La scuola del Terzo Millennio, dei “nati digitali”, non è quella che sostituisce la “biro” con il tablet, perché è molto più complessa. Bisogna disegnare gli spazi, a partire dalle classi, aperti ed ispirati alla pedagogia laboratoriale, dell’insegnare a fare, del lasciare fare, progettare per fare, scrivere e relazionare. La scuola ha il ruolo di cucire lo strappo sociale causato dalla pandemia, educando gli scolari a prepararsi a quel grande
processo di transizione sostenibile in cui l’obiettivo fondamentale è quello di realizzare una cittadinanza libera, responsabile, sostenibile ed inclusiva. Grande risorsa per il raggiungimento di questo traguardo e per superare anche la piaga della dispersione (che in Italia è di 120mila studenti) l’art. 3 della Costituzione. La scuola del ‘900 per la costituzione è rimasta incompiuta. Tocca a tutti: al teatro, alle biblioteche, ai musei, ai centri sportivi e all’imprese, fare di più e meglio.

La DAD
ha messo in evidenza i limiti e le difficoltà dello studio, impedendo una
corretta formazione, e limitando l’acquisizione delle competenze. La DAD, per gli studenti, si è ridotta ad essere meno studio, meno compiti, meno ricerca ed isolamento sociale. Ora, c’è chi pensa, fra gli intellettuali, di abolire il compito scritto per superare la crisi degli studenti e facilitare gli studi. Il populismo è stato il grande male della democrazia. In Parlamento siede ancora chi sostiene che il Ministro dell’economia lo può fare una brava casalinga e il Ministro dell’Università e dell’Istruzione l’insegnante di sostegno. Per fare
la “nuova scuola” serve più studio, più tempo a scuola, più responsabilità, più compiti e meno lamentele da parte delle famiglie per avere meno compiti.

Il compito scritto è una prova di verifica fatta a conclusione dello studio di una “tassonomia” programmata nelle diverse discipline e modulata su obiettivi cognitivi e formativi. Il compito scritto serve, quindi, sia per verificare i risultati, sia per l’autovalutazione dello studente, personale ed intellettuale. Il compito scritto quindi, serve molto allo studente e poco al docente. Sono assolutamente contrario all’abolizione del compito scritto a scuola. La scuola serve per verificare giorno dopo giorno, la formazione socioaffettiva e cognitiva dello studente e viene certificata da prove.

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immagine di copertina L’avvenire è il presente

L’avvenire è il presente

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C’è una consapevolezza, una determinazione, una convinzione dei giovani nella scienza e nella politica che la crisi del clima, dovuta al comportamento dell’uomo, comporta la necessità di difendere la Terra, il cui impegno è globale e coinvolge tutti e soprattutto che, il diritto di avere un clima sano libero dai veleni, è un diritto internazionale irrinunciabile e non negoziabile.

Lo dicono i giovani e il Presidente Mario Draghi che li ascolta e si impegna a portare le loro richieste al G20, a Roma, il 30 e 31 ottobre. La lotta dei giovani contro l’inquinamento non è più quella del futuro, perché ormai riguarda il nostro presente. La Terra è la nostra casa, sentirla in pericolo mette ansia e soprattutto non fa vedere il futuro di una vita sociale in armonia con la Terra.

La strada della transizione verde ed ecologica non è facile. Se la pandemia ha unito gli sforzi degli Stati nella lotta contro il virus, al contrario, l’impegno contro l’energia fossile ha portato divisione perché sono troppo grandi gli interessi economici in gioco.  Nelle banche mondiali ed Europee, infatti, ci sono grandi investimenti finanziari, dipendenti dai grandi gruppi che hanno interessi in campo energetico, a partire dal gas, e grandi interessi nell’ambito della mobilità sostenibile. Tutte le grandi città sono obbligate a diventare
smart – City e ad avere un modello di mobilità sicura e sostenibile.

A volte anche le parole deludono e disorientano il pensiero. Nel PNRR si parla di ricostruzione e di resilienza, cioè di riparare i guasti del modello, di resistere ai pericoli e non invece di un cambiamento socialmente ed ecologicamente sostenibile. I giovani chiedono infatti, il cambiamento e dicono che: non c’è il pianeta B ma c’è un solo pianeta, il nostro da difendere, fermando l’inquinamento.

Le parole dei giovani hanno la forza di scrivere le decisioni del prossimo G20 a Roma, presieduto da Mario Draghi, il quale non verrà meno alle promesse fatte sul cambiamento in favore della transizione verde ed ecologica del sistema. Per Draghi i giovani sono gli attori del futuro. Nel loro cantiere lavorano gli scienziati, i ricercatori, gli artisti, i poeti e i musicisti, tutti impegnati per raccontare e progettare
il futuro nuovo che vogliamo essere.

La poesia nutre la mente e apre visioni:

“ammirare incantato

l’avvenire

stellato di sogni,

potrò quando il biancore

mattutino cesserà

di deludermi;

e la notte

m’avvolgerà di luce,

senza che il cielo

si vesta di rosa;

io godrò la musica

del silenzio

e mi parrà svenire!”.

(Carmelo Bene, Adriatica
editrice salentina, Lecce, 2009)

Per molti di noi l’avvenire è già presente: basta non avere più paura, ma al contrario, avere la forza per cambiare.

Al G20 a Roma i giovani sperano che Draghi sia protagonista di un nuovo orientamento: servono fiducia e nuovi occhi per guardare il futuro libero dagli egoismi degli Stati che rimangono prigionieri del privilegio dei vantaggi”.

Bisogna cambiare, piantare alberi per difendere la Terra.

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