Calendario

September 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina Il teatro ritorna

Il teatro ritorna

Visioni
di Gigi Mangia

Dopo l’estate, come l’autunno, ritorna il teatro!

“Ci si sveglia un mattino che è morta l’estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all’orecchio i fragori del sole
fatto sangue. È mutato il colore del mondo.”

Versi dalla poesia Mito di Cesare Pavese.

È cambiata l’aria, non c’è più la paura del contagio, il teatro ritorna ad aver l’80% del pubblico in presenza. Per il teatro, il desiderio di avere pubblico è come quello del “parto”, cioè di una nascita che si rinnova, si arricchisce, cresce di emozioni spettacolo dopo spettacolo. La presenza in teatro è forza viva, è respiro di
parole, scambio di corpi, silenzio disegnato dalle e con le emozioni. In teatro ogni Io rinuncia per diventare Noi, per non avere distanza dal palco, per essere comunità coniugata dal pubblico con gli attori. Il teatro è socialità culturale condivisa, è desiderio di crescere e di avere occhi liberi di guardare gli occhi e volti degli altri. Koreja ha progettato la nuova stagione con la volontà di riprendere il cammino con la città, con le famiglie e le scuole, interrotto dalla pandemia e dai sacrifici economici che tutto il mondo del Teatro ha dovuto affrontare. Koreja ritorna, la città è più viva, il colore del mondo è cambiato come dice nella sua poesia Cesare Pavese.

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina Contro la violenza non basta la condanna

Contro la violenza non basta la condanna

Visioni
di Gigi Mangia

Il silenzio, il buio, l’indifferenza. Non vedere la violenza contro gli immigrati, la viltà di girare lo sguardo per non vedere, l’incapacità di non sentire nelle orecchie le grida di dolore, sono atteggiamenti che rendono vane ed ipocrite tutte le forme di condanna, più ancora quelle politiche. Le immagini sui social e le foto sui giornali raccontano quanto sia immorale e violento il respingimento lungo il fiume Rio, al confine tra il Texas e Messico, degli immigrati ricacciati a frustate dagli agenti di polizia a cavallo. Dimostrano l’incapacità e la complicità dei Poteri e delle forze dell’ordine. Si trattava di uomini e donne disarmate con i loro bambini, che cercavano di portare cibo ai loro compagni. Gli agenti li hanno colpiti con le redini dei cavalli e con le corde con odio e disprezzo.

La Casa Bianca si è limitata ad una normale condanna. Può bastare? Può servire per capire? No! Assolutamente no. La cultura del denaro e il privilegio del vantaggio fondato sulla ricchezza, hanno avvelenato le relazioni sociali e hanno svuotato la coscienza morale dai valori imposti in lunghi anni di lotta popolare. Servono ancora le Convenzioni e le Carte dei Diritti ad evitare le violenze e i soprusi dei ricchi verso i poveri?; può l’economia internazionale, fare fronte ai bisogni delle popolazioni affamate? Può essere fermata la ribellione che è diventata onda lunga nel mondo globale? Io credo che ci sia bisogno di cultura ed educazione per conoscere l’uomo e capire i suoi bisogni. Dobbiamo imparare una nuova grammatica sociale che sia libera dal potere imposto dalle religioni e dai pregiudizi del colore della pelle. La rivoluzione morale e civile della libertà nate dall’Illuminismo, oggi risultano essere fuori dal tempo e quindi non possono essere valide per trovare soluzioni politiche nate dal grande movimento migratorio.  La nostra giustizia, la nostra morale, la nostra libertà valgono per pochi popoli, non per il Mondo intero. Il teatro non racconta solo la storia dell’uomo, lo cerca, lo riceve, lo ascolta, lo studia, lo accoglie nella fatica di trovare parole chiare, attraverso cui dare senso e voce al bisogno di rispetto. Perché tutti siamo esseri umani.  Per fare teatro bisogna conoscere l’uomo; serve questo grande impegno e non la semplice condanna. 

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina Dante Alighieri, il poeta amato dal teatro

Dante Alighieri, il poeta amato dal teatro

Visioni
di Gigi Mangia

Tra la notte del 13 – 14 Settembre di 700 anni fa moriva a Ravenna il sommo poeta Dante Alighieri, il padre della lingua italiana. C’è una ragione, che rende attuale e affascinante la Commedia e che troviamo nei primi versi del poema:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

L’attualità la troviamo in due parole: “la nostra vita” e “la paura”.

Per facilitare la comprensione potremmo rappresentare la Commedia come uno schermo grigio, attraversato da linee di diverso colore, la quali raffigurano le debolezze umane, la fatica per superarle ed, in particolare, l’impegno per oltrepassare la paura. Dante identifica la lotta dell’uomo, la sua guerra contro la lonza, la lupa e il leone. La scrittura diventa, per il poeta, cura terapia dell’inconscio, il luogo oscuro del conflitto delle passioni. La Commedia così, è una meravigliosa biografia del poeta che sente il dovere di fare il viaggio dell’uomo attraverso le sue debolezze ma anche, attraverso le sue capacità di educarsi a raggiungere il bene nel Paradiso, ispirato dall’amore che illumina l’intelletto.

Dante rappresenta, per l’Italia, un punto di riferimento perché realizza un disegno unico rispetto ai paesi dell’Europa trecentesca perché mentre le monarchie nascevano dalle guerre o dalle successioni, l’Italia nasceva dalla poesia e dalla letteratura. Nel primo canto dell’Inferno, il poeta Virgilio si dichiara infatti, lombardo e rappresentante della cultura italica.

Grande fu il progetto di Dante Alighieri per un’Europa politica, unita e senza barriere affidata alla figura dell’Imperatore Enrico VII. La nostra Europa, invece, è ancora divisa in barriere fra gli Stati.

Alessandro Leogrande scriveva che in Europa ci sono le barriere fisiche che dividono gli Stati e le barriere liquide dei mari.

Il teatro e molti artisti onorano il sommo poeta recitando i canti della Divina Commedia. È questo il modo migliore per far vivere al pubblico la bellezza, la musica, l’armonia e la profondità della poesia di Dante Alighieri, il poeta morto in esilio, lontano dalla sua città,  Firenze. 

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina La cultura al buio

La cultura al buio

Visioni
di Gigi Mangia

In Afghanistan, la cultura è al buio: i talebani vietano la cultura, l’arte e sospendono la libertà di stampa. Alle donne è vietato lo sport ed è vietato ascoltare musica e fare arte. Musei e teatri sono chiusi. I talebani impongono la sharia per governare ed è il trionfo e la vittoria dell’Islam. I talebani cancellano i diritti promessi agli Afghani dalle potenze Occidentali. Le cancellerie internazionali si muovono secondo gli interessi economici e geopolitici dei singoli stati e trascurano il tema della difesa dei diritti.

Lo sport, l’arte, in particolare il cinema ed il teatro, sono i più colpiti dalla Sharia. Il teatro vive della creatività dell’Io. L’Io, in teatro, è senza dio, senza sesso, non ha il colore della pelle ed è libero da ogni pregiudizio. I talebani per governare sono obbligati ad emarginare le donne, escluse sia dalla cultura, che dagli studi. Sono costretti a tenere chiusi i teatri e vietare tutte le manifestazioni dell’arte attenta al sociale perché l’Afghanistan, secondo l’ONU, è in una situazione di povertà universale, cioè in una condizione ingovernabile, pronta ad esplodere.

La cultura e gli intellettuali, devono fare quello che la politica non è nelle condizioni di fare: tenere alta la voce sui diritti; documentare la violenza nelle manifestazioni dei giovani Afghani che lottano per essere liberi e per avere un futuro. Prendere iniziative e fare pressioni sul governo per non dimenticare le ottantuno giovani studentesse iscritte alla Sapienza, ma rimaste in Afghanistan, oggi impossibilitate a partire e raggiungere l’Italia. Dobbiamo fare tutto il possibile per non deluderle.

Tutte le Università devono unire la loro voce a quella della Sapienza, per avere più forza, più voce, più ascolto, sia dall’Europa, che dal Presidente del Consiglio, Mario Draghi, il quale ha dimostrato fermezza e profonda sensibilità nel difendere e rispettare i diritti e sta adoperandosi mettendo in campo le sue competenze, il suo ruolo istituzionale e tutto il suo prestigio. Dobbiamo scrivere una nuova pagina che servendosi della sconfitta di una guerra, iniziata vent’anni fa dopo l’11 Settembre, si possa davvero liberare il mondo dal terrorismo e dalla sharia.

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina Non sparate più

Non sparate più

Visioni
di Gigi Mangia

Il meridione d’Italia è stato divorato dal fuoco fra luglio e agosto del 2021. Sono andati in fiamme migliaia di ettari, di boschi, pinete e macchia mediterranea. Il paesaggio ha subito gravissime perdite e ci vorranno anni per recuperare. Il territorio è stato ferito dalla mafia, dalla criminalità e dalla speculazione, se solo il 2% degli incendi è avvenuto per cause naturali. È mancata la prevenzione ed è stata carente la lotta nello spegnimento dei grandi incendi. Perdendo 60 milioni di ulivi a causa della Xylella fastidiosa finiti in tronchi di carbone, il Salento ha perso la sua identità e la sua bellezza. Da parco a cielo aperto si è trasformato nel cimitero dei giganti vegetali ridotti in fantasmi bruni e ha perso il verbo della narrazione della terra benedetta dal mare. Anche il mare subisce la violenza della civiltà incapace di rispettare la natura. La grave crisi del clima, il conseguente aumento della temperatura hanno causato la perdita del 30% della Posidonia del fondo marino e il mare ha perso la bellezza dei colori delle sue acque. È diventato acido, malato. La terra, senza gli alberi, è indifesa dal sole, che la brucia e non perdona. La nostra è una condizione estrema di pericolo per l’uomo e per tutta la natura, compresi gli animali. Mi chiedo se può avere ancora un senso la caccia o se invece sarebbe necessaria la sua sospensione, prevista anche dalla legge n. 152 quando ci sono condizioni gravi di crisi ambientali come quella dei nostri giorni. Se i cacciatori amano e rispettano la natura, dovrebbero rinunciare a cacciare i pochi uccelli che ancora sono presenti nelle nostre campagne.

Oggi sparare, colpire gli uccelli, vuol dire uccidere il futuro della terra, che invece ci chiede aiuto, responsabilità e rifiuta la violenza. Rinunciate al fucile e, invece di sparare, leggete i poeti per imparare a vivere in armonia con la natura.

Come suggerisce Mariangela Gualtieri nella poesia 9 marzo del 2020, avremmo dovuto fermarci prima, ma non l’abbiamo fatto. Oggi le condizioni estreme, le temperature a 49° mai registrate prima nel Mediterraneo, ci dicono che dobbiamo avere il coraggio di farlo.

LA POESIA: https://www.doppiozero.com/materiali/nove-marzo-duemilaventi?fbclid=IwAR2Df2jnln_WFj_9kpVX-2ZEFZfAgYtol–L13XhdrBmB5wRzVWSWm4dhRg

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina In cenere i luoghi dei poeti

In cenere i luoghi dei poeti

Visioni
di Gigi Mangia

Finisce in cenere il paesaggio del mediterraneo e finiscono in cenere i luoghi dei poeti. A Pescara il fuoco divora la pineta di Gabriele D’Annunzio, nel Salento gli ulivi del poeta Girolamo Comi. La violenza del fuoco distrugge il paesaggio di Vincenzo Ciardo e la campagna diventa un teatro di fantasmi, di tronchi carbone. Va in fiamme “Zante” la famosa Zacinto del poeta Ugo Foscolo e le fiamme distruggono Olimpia, la città degli dèi e la città dei filosofi Atene.

Quasi tutti gli incendi hanno dietro il vento del dolo. A causa della mancata prevenzione e del non sufficiente impegno della politica, agiscono indisturbati i criminali e la mafia. Prevalgono gli interessi della speculazione, a cui si aggiunge il cambiamento climatico; le alte temperature ne certificano la gravità e, quindi, la necessità di un cambiamento radicale dl comportamento dell’uomo. Brucia il Mediterraneo, avanza la desertificazione della terra.

L’aumento della temperatura porterà a vivere condizioni di vita tropicali nelle città benedette dal Mar Mediterraneo. Non è solo un cambiamento del paesaggio urbano e umano, ma è più ancora una perdita dei valori culturali e sociali, in particolare per il teatro dei luoghi in cui la cultura del vivere fuori è fatta per sentire il piacere della natura.

Non servono più le lacrime, ora è il tempo di cambiare e siamo in ritardo. Dovevamo fermarci prima e non lo abbiamo fatto.

prossimi Appuntamenti

immagine di copertina Diventa odio l’amore, quando a nutrirlo è il suo peccato.

Diventa odio l’amore, quando a nutrirlo è il suo peccato.

Critica
di Annarita Risola

In questa calda sera d’estate del 9 Luglio 2021, l’ortale del Teatro Koreja, ospita “Casalabate1492”. In scena Carlo Durante e Fernando Blasi, noto ai più come Nandu Popu, il cantante dei Sud Sound System; la regia è di Salvatore Tramacere. Gli attori camminano lentamente sul proscenio, l’uno alla destra, l’altro alla sinistra, accompagnati dal canto liturgico dell’Ave Maria e dal suono di un organo, fino a giungere alla ribalta.  E mentre le preghiere in latino fanno da bordone, iniziano i loro racconti di bambini. Quello seduto sul cavalluccio rosso legge storie tratte da “La crociata dei bambini” di Marcel Schwob, parla di “fanciulli selvatici e ignoranti”, mentre l’altro ha in mano una canna da pesca e i fanciulli di cui parla, sono figli di un abate e una badessa. La loro era una storia d’amore è come tante altre, ma a differenza delle altre, è proibita. La casa dell’abate, Casalabate appunto, è il luogo dei loro incontri segreti, ma anche di paludi e di malaria.

Negli anni’70 si bonificò la zona, dando il via a quello scriteriato e spasmodico abusivismo edilizio che avrebbe invaso la costa. Popu indossa gli occhiali da bravo narratore e di tanto in tanto col dito segue le parole, come se la chironomia potesse sottolinearle. “Nutrito dai pensieri…” In quel viaggio a ritroso nel tempo, riaffiorano i ricordi e rivede quei quattro “menati” del paese, quelle persone scartate, emarginate dalla società, che improvvisamente diventano a tutti gli effetti malavitosi, “malandrini”. Ed ecco ritornare in quei luoghi, in quel bar dove la bella del paese, detta Naomi Campbell, era sempre scortata dai suoi body guard, alla rotonda vicino il mare, dove suonavano la canzone di Fred Bongusto. Bella Casalabate, bella quasi come Venezia, pensava Nandu, bella anche quando ci si riuniva per preparare le conserve di salsa, perché era un modo per stare insieme e fare festa. Le case erano così vicine al mare che diventavano verdi per l’umidità tanto che alla fine, molti villeggianti, decidevano di tinteggiarle dello stesso colore verde, per risparmiare un pò di pittura e di fatica, come il suo amico Angelo detto il “Bue”, che ogni anno incontrava puntualmente, con secchio e pennello. “Ma noi eravamo fortunati”, dice Nandu, “perché potevamo giocare, loro no, dovevano lavorare e ci invidiavano”. Intanto il nodo della corda che tiene stretta la plastica al centro del proscenio, viene piano piano sciolto, rivelando un grosso ippopotamo azzurro (notevole il lavoro eseguito in cartapesta dal maestro Deni Bianco). Ecco… da qui il soprannome di Nandu…Popu, ippopotamo, appunto. Continuano le letture che esaltano la purezza dei bambini. Ma di quella bellezza la badessa e l’abate ne sfruttavano ogni risorsa. Quei figli, nati nel peccato, dovevano pur mangiare. Per farlo dovevano lavorare e come tradizione biblica vuole, coltivavano la vigna e ne vendevano i suoi frutti, in cambio di olio, agli abitanti della non troppo distante Otranto. Nessuno credeva che quelle 18 creature, si dice tutti maschi, fossero i loro figli. Preferivano pensarli figli delle streghe, le cosiddette “striare”. Ma un giorno scapparono e andarono nella vicina Trepuzzi, accolti dai pastori e non fecero mai più ritorno, perché l’odio si nutre del peccato. Gira la giostra e Patty Pravo canta “ragazzo triste”. Sognano ancora i bambini di diventare grandi, Popu avrebbe voluto fare il ciclista-pescatore e osservare il mondo da quello scoglio, ma in compagnia, perché non bisognerebbe mai stare da soli. Poi la giostra si ferma, “stanno arrivando i contrabbandieri” e inizia a raccogliere la lenza. Ecco giunto uno Yacht, pieno di stecche di Philiph Morris, si attende la notte per scaricarle e tutti aiutano a farlo, soprattutto i bambini che con le loro manine riescono ad infilarle dappertutto nella macchina. In cambio, anche loro riceveranno qualche stecca, da regalare agli adulti come un trofeo. Una stecca anche a Sartana, il cantante che Popu da bambino guardava con ammirazione mentre cantava “Marina”. Dormiva in macchina, quella notte, era ubriaco, la moglie lo aveva lasciato. Morì bruciato in quella macchina, divenuta ormai la sua casa. Con questo triste ricordo, si chiude lo spettacolo, una testimonianza di un’epoca non troppo lontana, di una mentalità del sopruso non ancora del tutto sradicata. Un bene continuare a parlarne, far emergere il brutto e trasformarlo in bello e, molto semplicemente, aiutare le nuove generazioni a non commettere gli stessi errori. Popu utilizza la favola e un linguaggio semplice e chiaro, ben consapevole che le parole, anche se non recitate come un attore consumato, riescono a fare breccia, si sedimentano e, seppur lentamente, trasformano le menti. Anche questo è il nobile scopo del teatro, educare attraverso il racconto.

prossimi Appuntamenti