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Gennaio 2020

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immagine di copertina Chi sono le ombre folli di Enzo Vetrano e Stefano Randisi?

Chi sono le ombre folli di Enzo Vetrano e Stefano Randisi?

Critica
di Annarita Risola

“A che serve il teatro? È una forma d’arte che implica immediatamente l’uomo, che obbliga a vivere, a incontrarsi e scontrarsi”. (Franco Scaldati) 

Ombre folli – Cantieri Teatrali koreja, 23 Novembre 2019. L’opera teatrale è di Franco Scaldati, considerato uno dei più importanti drammaturghi del novecento. Nelle sue opere racconta la sofferenza, la marginalità e il degrado. Quell’invisibile che si fa ombra, ma che resiste ed esiste. Sono le aree abbandonate di Albergheria ad ispirarlo, quelle, dove teneva i suoi laboratori, coinvolgendo gli abitanti del luogo. Ombre folli, proposta per la prima volta nel 1997 dallo stesso autore( Balarm.it), ritrova ancora oggi intatta, la forza lirica dei suoi versi e della lingua dialettale, che ne sottolinea l’asprezza. Nel testo inedito, rivisto da Enzo Vetrano e Stefano Randisi, ritroviamo tre piccoli pezzi “Creatore d’ombre”, “ Creature e travestimenti “ e “ Sabella “(klpteatro.it). Veterano e Randisi, attori e registi , lavorano insieme dal 1976 e nel 1995 fondano l’ Associazione Culturale “ Diabogues “. 
Tic, tic tic, danzano le dita su una vecchia Olivetti posta su un tavolino di legno. Lo scrittore, ad alta voce, rievoca immagini oniriche. Muri che si aprono e allungano, deformandosi come in un regno di fantasia e di eternità. Al centro della scena un corridoio di lumini accesi, equidistanti, cinque per lato. Sulla sinistra un grande telo bianco, che di lì a poco verrà scoperto, svelando una sedia e una poltrona un po’ retrò. Al centro del corridoio è stato riposto un mazzo di fiori rossi. I personaggi prendono corpo, ora sono genitori, ora vicini di casa e infine è la storia stessa a parlare. L’uomo seduto sulla vecchia poltrona ha una doppia vita. Di giorno serio e inappuntabile meccanico, di notte uomo dalle fattezze femminee, rese ancor più estreme da un vistoso caschetto scarlatto. Egli si racconta, come in una seduta dallo psicanalista, che l’ambivalente indumento, appeso nello studio dello scrittore, sottende. Egli ama ciò che fa, e con lucida e crudele consapevolezza, racconta il piacere che prova nell’essere riconosciuto, giustificando così la necessità di uccidere, con maniacale precisione e ritualità, i suoi malcapitati clienti. Al suo fianco ora c’è il suo amico ed ex compagno di classe, che dice di amarlo, come si ama un figlio, e di volerlo redimere. Per fare ciò lo segrega in casa. 
In questo clima quasi surreale, ciò che disorienta è la poesia. Le parole rimbalzano da una bocca all’altra, come un continuo rincorrersi e imitarsi, perché le stesse parole dette da altri, acquistano significati diversi. Le parole sono così ricche di dettagli, che le immagini si disegnano velocemente nella mente e dopo i primi scarabocchi, appaiono nitide, come tele appena dipinte. Perché Ombre folli“ è quell’altro noi, quel lato profondo e oscuro, capace di ingoiarci nel male e tuttavia, farci risalire velocemente, non lasciando quasi più traccia di esso, pur esplorando sentimenti primitivi e inaspettate perversioni. Il linguaggio porta lo spettatore a soffermarsi più sulla melodia del suono emesso, che sul significato in esso contenuto. E così il racconto, a tratti da film dell’orrore, così concepito, pur non consentendoci di giustificare i fatti, crudi, efferati e delittuosi, ne sospende il giudizio. La chiave è sicuramente la sorprendente dolcezza di quest’uomo che evidentemente ci inebria, come la sirena per Ulisse, con il suono della sua voce. 
Ancora, Ombre folli, ombre che su corpi inerti, proiettano quella parte di sé, oscura e misteriosa, quella che riveliamo a tratti e che gelosamente nascondiamo. Quelle ombre, sono forse le nostre paure, i nostri fantasmi interiori. Forse sono le persone emarginate, che ogni giorno rinunciano ad una parte di sé. Come morti, vagano nella notte, in un cimitero pieno di lumini votivi accesi, dove solo la luce, pur facendo riaffiorare i dolorosi ricordi, porta pace e serenità. E così i nostri demoni o le nostre fragilità, appena placate, sanano da quella follia, che ha deformato i ricordi e attraversato il tempo. Gli sconfitti, gli emarginati, ritrovano il coraggio di vivere la loro semplice esistenza.  Assolta così è la funzione del teatro, che non interroga l’uomo all’interno di un’esperienza privata ma in un sistema collettivo e seguendo una procedura simile alla politica, lo pone al cospetto della sua dimensione pubblica. Perché come ricorda Alan Badiou, tutto ciò che accade a teatro è una “ res-publica “.

*Progetto Giovani Sguardi

Annarita Risola (Palchetti Laterali, Università del Salento)

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