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Febbraio 2020

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immagine di copertina MBIRA e l’Africa: l’arte è sempre politica…e rito collettivo

MBIRA e l’Africa: l’arte è sempre politica…e rito collettivo

Interviste
di Annarita Risola*

intervista a Roberto Castello

Come salvarci dalla massificazione?
Coltivando la curiosità, leggendo, andando a teatro e al
cinema, documentandosi. Non permettendo insomma ad altri di pensare al posto
nostro, soprattutto a quelli che non lo sanno fare.

Perché MBIRA, perché l’Africa?

Perché il rapporto con l’Africa è una questione destinata ad avere una
enorme influenza sul nostro futuro. Credo sia utile, importante e urgente fare
lo sforzo di provare a capire culture così profondamente diverse per stabilire
con loro, a differenza di quanto gli europei hanno fatto in passato, un
rapporto di reale rispetto. A sud del Sahara sono in corso cambiamenti epocali
di cui sarebbe sotto ogni punto di vista giusto e utile provare ad essere
parte. Fare lo sforzo di provare a capire l’Africa è anche un’occasione per
vedersi dal di fuori e prendere atto del fatto che il mondo può essere guardato
anche in modo molto diverso da quello che a noi sembra ovvio e normale. Pensare
che sbarrare le frontiere europee all’Africa sia una cosa furba e utile, che
giova a noi e ai nostro figli, è semplicemente una scemenza. 

Come nasce l’idea del rito collettivo?

L’idea di fare sfociare lo spettacolo in una festa è nata quando è
risultato chiaro che la linea drammaturgica del lavoro avrebbe dovuto essere
quella di iniziare lo spettacolo con una coreografia scritta in modo
classicamente europeo per slittare progressivamente, attraverso il gioco e
l’improvvisazione, verso forme sempre più influenzate dall’estetica africana;
quando si è scelto insomma di ripercorrere idealmente quel processo che in arte
– in particolare in ambito musicale, ma non solo – in Europa è in corso dagli
inizi del ‘900.

Le ballerine si esprimono in una libera
improvvisazione o sono interpreti di uno schema prestabilito?

La cultura occidentale si fonda sulla scrittura, sulla riproduzione
esatta di un testo, sia esso una musica, una danza o altro, quella africana si
fonda invece sull’oralità, che considera l’inesattezza della memoria un
elemento creativo e implica sempre,

 almeno in parte, la capacità di improvvisare. Lo spettacolo,
come dicevo prima, scivola progressivamente da una modalità all’altra
trasformandosi a poco a poco in una festa in cui ciò che conta non è più la
perfetta aderenza ad una forma prestabilita, quanto la capacità di essere in
sintonia con ciò che sta avvenendo in quel momento.

Qual è l’intento di un simile lavoro?

Quello di provare a fare intravvedere modi diversi di affrontare le
cose.

Perché l’utilizzo di tanti codici e la necessità
di spiegarli?

Perché il teatro è per sua natura un fenomeno complesso ma è
uno. I generi dello spettacolo sono il retaggio di una visione del
fenomeno artistico, arcaica e obsoleta come il nazionalismo, di un’idea
semplicistica del mondo come mera sommatoria di fenomeni elementari. La scelta
di svelare i meccanismi è invece una critica implicita verso quei
tanti artisti occidentali che hanno guadagnato fama e denaro rubando o
rubacchiando ispirazioni ad altre culture e non hanno mai sentito il bisogno di
citare o ringraziare le fonti.

La realtà visionaria, che le ha permesso più volte
di vincere il premio UBU, dove la porterà la prossima volta?

Il ballo sociale continua ad interessarmi molto ed è molto che vorrei
realizzare un lavoro teatrale di gruppo basato su di esso

Quanto di lei coreografo e quanto di regista c’è
in quest’opera?

Non vedo una differenza fra i due termini.

Durante un workshop tenutosi dal 4 al 9 febbraio
2019 nell’ambito del Progetto Azione (intervista di Simona Cappellini), lei ha
detto che paradossalmente è sempre più difficile togliere che aggiungere,
perché?

Perché credo che la perfezione sia quando ogni elemento è necessario e
indispensabile. Individuare ed eliminare le ridondanze è uno dei compiti più
difficili. 

MBIRA potrebbe definirsi un tentativo di teatro
d’avanguardia, dove la parola, la musica e la danza sottendono dell’altro ed
insieme fanno politica?

L’arte è politica, sempre, indipendentemente dal fatto che tratti o
meno espressamente di argomenti politici. Non c’è d’altronde niente di più
politico di un’opera che si professa apolitica.

Penso che il dovere di un artista sia quello di indurre a riflettere, a
riconsiderare criticamente le proprie certezze. Per questo faccio il possibile
per scompaginare le categorie, tutte le categorie, anche quelle
dell’avanguardia, realizzando lavori che cercano di non corrispondere mai alle
aspettative ma risultino cionondimeno leggibili da chiunque.

*Progetto GIOVANI SGUARDI

Annarita Risola è studentessa Corso di Laurea DAMS e Socia fondatrice Palchetti Laterali Università del Salento

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