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Tourneè

Tourneè

Produzioni

Per fare un teatro di mani, pensieri, piedi e parole, di cuori, di occhi e di sogni

Harold Pinter

Il calapranzi (2006)

a chi toccherà stasera?

Alla fine del 2008 muore Harold Pinter. Solo pochi anni prima, nel 2005, Pinter aveva scelto di non ritirare il Premio Nobel a lui conferito inviando un discorso che iniziava così: Non vi è
una rigida distinzione tra ciò che è reale e ciò che è irreale, tra ciò che è vero e ciò che è falso.
Una cosa non è necessariamente vera o falsa; essa può essere vera e falsa insieme. Credo che ancora oggi queste asserzioni abbiano senso e si applichino all’ esplorazione della realtà
attraverso l’arte. Perciò come scrittore rimango loro fedele, ma come cittadino non posso farlo. Come cittadino devo chiedere: che cosa è vero? Che cosa è falso? Teatro politico, ma senza slogan, senza proclami, alla continua ricerca di situazioni e dialoghi capaci di restituire allo spettatore uno stato d’animo simbiotico coi personaggi. Pinter stesso diceva: “Il teatro politico presenta una gamma del tutto differente di problemi. La predicazione deve essere evitata a ogni costo. L’oggettività è essenziale. I personaggi devono poter respirare l’aria loro propria. L’autore non può porre loro dei limiti per costringerli a soddisfare i propri gusti o inclinazioni o pregiudizi.
Così ecco nascere le ambientazioni significative della poetica Pinteriana: stanze chiuse, luoghi claustrofobici, magari il salone di una casa alto borghese, ma pur sempre luoghi dove ciò che
circonda i personaggi è metafora della violenza del potere, un immenso arazzo di menzogne, delle quali i suoi personaggi si nutrono e anche noi, come spettatori siamo irrimediabilmente
costretti a nutrirci dello stesso pasto.
“The dumb waiter”, ovvero “Il Calapranzi”, scritto da A. Pinter nel 1957, fa parte della prima stagione drammaturgica dell’autore, dove quasi tutte le opere sono metafora di un solo
meccanismo, quello della violenza: violenza sotterranea, quasi impalpabile, ma che manifesta con scatti improvvisi tutta la sua furia oppressiva.
Nel prologo la scena, un luogo metallico, astratto, pulito e insieme simbolicamente ‘sporcato’, è abitata da due figure femminili, doppi astratti dei personaggi (Ben e Gus), che creano un enigma di forza e fragilità, di crudeltà e di sottile comicità. Le attese, la noia, le sequele interrogative si fanno movimento, corpo che danza in un vortice da musical noir. Poi spariscono, come assorbite dalla scena; lo spettatore vede davanti a se un’altro luogo, questa volta più realistico, ma di un realismo che contiene in se tutto l’assurdo del testo Pinteriano.
Due letti in un “buco” di stanza, dove Ben e Gus aspettano i comandamenti di un’azione criminale. Pizzini calati dall’alto, istruzioni senza significato. Aspettano, dialogano nel loro
linguaggio dialettale, calabrese Ben, duro, essenziale, alla disperata ricerca di un ordine che non torna in nessun modo; salentino Gus, stupito, tormentato, le interrogazioni che risuonano nel prolungamento delle vocali: aspettano, in un’attesa riempita di parole che tiene la violenza in
un dialogare teso e scattante, costruito su ritmi in cui i silenzi contano quanto le battute. Interrogazioni che risuonano tra le mura di un sottosuolo. “A chi toccherà stasera”?


traduzione di Alessandra Serra regia di Salvatore Tramacere con Angela De Gaetano, Maria Rosaria Ponzetta, Fabrizio Pugliese, Fabrizio Saccomanno scene, luci e suono di Lucio Diana e Salvatore Tramacere realizzazione scene di Mario Daniele tecnici Mario Daniele, Angelo Piccinni Un grazie ad Alfonso Santagata