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immagine di copertina Pratica in cerca di pratica

Pratica in cerca di pratica

Visioni
di Emanuela Pisicchio*

Cosa resta di una Pratica che deve fare a meno della sua pratica?

Il nostro lavoro si è fermato all’improvviso, abbiamo dovuto abbandonare una sala prove che traboccava di immagini, oggetti, costumi e parole. Se si potesse spiare al suo interno, forse ci potremmo scorgere ancora il tavolo ricoperto da una tovaglia rossa, una camicia verde acqua, una lanterna ancora accesa, un cappello verde, una sedia, un abito bianco e un fioco controluce.

Abbiamo incontrato alcuni personaggi, li abbiamo vestiti, abitati, ne abbiamo ricercato la camminata, la postura, la voce, le parole. Abbiamo piegato, tirato, strappato, sbattuto e accarezzato la tovaglia rossa. Silenziosa testimone di un mondo in divenire. Quinta, sipario, riparo. Dopo giorni di silenzio, qualcuno si è riavvicinato al proprio personaggio. Lo ha chiamato per nome, pizzicandogli la guancia, invitandolo a camminare un po’ e a raccontarsi. Per quello che è adesso. Queste sono le parole di Caterina della “Bisbetica Domata”, attraverso gli occhi di Sabrina.

La scena è un ambiente scuro, cupo.

Al centro solo il letto e un lenzuolo quasi invisibile che lascia trasparire le linee di un corpo femminile in vesti succinte: calze a rete, una minigonna attillata e un top nero.

Nella penombra Caterina aspetta che passi la notte, sola e infreddolita, rannicchiata a sinistra, in posizione fetale.

Sulle labbra ha ancora un alone del suo rossetto rosso e qualche traccia di trucco. Ha pianto e ha uno sguardo fisso.

CATERINA

Questo tempo è grigio. Non se guardo fuori dalla finestra. Neanche dentro di me, dove regna una serenità quasi surreale, improbabile… sono io davvero?

Sì.

E dove sono? Dove non dovrei essere.

Una pausa nel sogno… Un fermo immagine in cui ho accolto tutto tranne il giudizio.

Non riesco a formularne uno accettabile, comprensibile, e d’altra parte mi ha sempre fatto male, non può essere tra le mie ancore di salvezza.

Non so cosa stia accadendo ma è certo che io continuo ad essere, inesorabilmente, quella del passato che si confonde col presente.

Una volta sono stata sicura, fiera nell’aspetto e nella mia corteccia interna. Poi ho attraversato il tempo immobile, nel bene e nel male. Ho visto solite storie, finzioni standard, perbenismo ghiacciato, banali matrimoni, cinismo inaspettato, morti insondabili ed egoiste.

E io sempre uguale, fedele alle mie lacrime. Una me oscillante tra allora e oggi.

Ora i miei occhi si sono ritratti, come tante volte in cui non vedere mi ha protetto.

Vivo nascosta dentro al mio corpo, che mi ha sempre fatto da scudo. Sotto molti strati, indietro. Non sento, ho fame e ho sete perché devo averle.

Ma, finalmente, attorno a me la calma piatta, e una serenità che ho desiderato tanto regna dentro di me, legittimata da un destino comune agli altri.

Finalmente a casa. Quale casa?

Ancora niente, non la tua, che forse non esiste.

Ora nessuno di noi ha quello che aveva prima o può avere quello che sperava: un mondo effimero e indefinibile. Nessuno può ambire più a relazioni sociali, niente invidia, gelosia, rivalità, conflitti, lotte, affanni, affermazione sociale, successo.

E io?

Niente sensi di colpa.

Finalmente siamo tutti uguali. Io non sono meno donna di altre, neanche il tempo può togliermi niente di più di quello che sta togliendo a loro.

Mi toglie solo quello che faticosamente stavo lottando per avere.

Hai detto niente.

In più nel frattempo sto crescendo.

Questo calore che assale le mie 48 primavere, sole, mare, lacrime, vento, ricerca, cuore, fretta, non amore, Torino, Roma, ritorno, delusione, il tutto passato e il tutto fermo… è quello di una donna-mondo che avverte un dolore che non ha mai conosciuto, che può solo ‘subire’.

Ogni tanto è una tenerissima stella che splende dentro e ogni tanto si spegne da sola per non abbagliare all’esterno.

Ora sono la persona di un presente forzato, in cui tutto è quello che deve essere, quello che bisogna fare, sfrondato da tutte le paure, i capricci di un tempo di cose futili, ripetitive e sovrabbondanti, niente trucco, niente compromessi socializzanti voluti per farmi crescere e impedire alla solitudine di essere mia madre.

Parole, rifiuti, corse, nonamore, nonamicizia, paura. Tutto finito.

Ora regna l’immobilita’ fisica, è così, deve essere. Non c’è più nessuno attorno che mi sta aspettando, tutto finito, niente orari, niente vestiti, lavaggi, corse, dovere, obbligo, obbligo, poco piacere, fatica, ambizione, macchina, sogni che si realizzano, forse. Niente.

Soprattutto non ci sono più uomini…

No aspetta. Non ci sono mai stati.

Nessun marito. Nessun essere penoso, esemplare ‘dotato’, di quella specie di personaggi che ti invitano fuori fingendo interesse per il tuo ‘patrimonio intellettivo’, o di quelli che non ti invitano, come se tu fossi un drago, perché neanche loro vedono le tue ali, lì dietro…

No non lo voglio un uomo, sarebbe tutto inutile. E poi è proibito anche quello.

Questo penso, immobilizzata dagli eventi.

Eppure la mia mente corre, si affanna, fa, dice, pensa, progetta, esplora, e corre, formula, concilia, previene, pensa, cura, accoglie. Questa folle corsa virtuale che sta impegnando tutto dentro di me per non farmi realizzare cosa c’è fuori… o forse, più evidente-mente, mi evita di pensare di essere tornata nel mio antico ‘nido’ scomposto…

In tutti i modi ci risiamo ancora.

Sto nuovamente trascurando la mia piccola, questa volta per piccoli altri. Continuo a non voler ascoltare i suoi richiami, le tolgo voce, ora del tutto, sperando come sempre che possa capirmi… Proprio ora che stavo iniziando a vedere la mia luce, la voglia di una vita diversa… Proprio ora che stavo riuscendo ad essere io genitore di me stessa, donna senza essere figlia… Niente.

Mi sento risucchiata in una prigione.

E ancora una volta ho dovuto rinunciare anche alla mia Libertà. Io non ho bisogno di riflettere senza di Lei. Non siamo una coppia affiatata, è evidente, e sembra infinita questa ricerca di un’intesa possibile… Ma è lei che ogni tanto deve mettermi sul comodino e guardarmi da lontano perché non ha tempo. È di quelle stronze che maltrattato proprio le persone care. Comunque io aspetto, lo sto facendo da una vita ormai, e d’altronde non posso fare altro. 

da “Pratica in cerca di teoria #2”, laboratorio di Koreja diretto da Emanuela Pisicchio.

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