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immagine di copertina Una civiltà senza cuore

Una civiltà senza cuore

Visioni
di Gigi Mangia

Mi chiedo: quale Natale può vivere un bambino innocente e senza colpa in una civiltà senza cuore, che chiude gli occhi per non vedere e gira le spalle per disinteressarsi della sua vita crudele di indifferente abbandono?

Sul Corriere della Sera del 29/11, Lorenzo Cremonese, nel suo servizio in Afghanistan, scrive “nel Paese dei talebani, all’estremo dell’economia, ci sono almeno un milione di bambini che rischiano di morire di fame. Ci sono genitori incapaci di dare cibo ai loro figli e vendono quindi, i bambini per 500 dollari, mentre le bambine sono vendute a 1500 dollari, destinate ad essere spose in tenerissima età”.

Ai confini fra la Polonia e la Bielorussia e lungo la rotta dei Paesi Balcani ci sono bambini che muoiono di fame e di freddo. I loro volti sono già invecchiati dal freddo. Le rughe, gli occhi chiusi e i pochi capelli, sono i segni della violenza del freddo e della fame. La loro casa è il buio gelato. La loro stanza dei sogni è il bosco popolato da ombre spaventose che interrogano il freddo della notte, che dura e non finisce mai. Sono bambini, tutti nati per pagare il conto di una guerra di cui non hanno nessuna responsabilità e neppure hanno scelto di vivere.

Mi chiedo: quale può essere l’orizzonte affettivo di un bambino a cui è stato negato di vivere e sognare, di giocare e studiare, di amare ed essere rispettato, di avere una mamma, sentire la sua voce e imparare da lei le parole per vivere. Dopo l’inferno dei bambini abbandonati, senza avere avuto un destino, quale sarà la società del futuro se nelle vene
della storia scorre odio?

Continua ad avere senso, la festa del Natale, di una civiltà senza cuore? Sono tutte domande che rientrano nell’interesse del teatro, dove la grammatica della creatività può rispondere e può anche indicare una strada: cancellare la vergogna di chiudere gli occhi per non vedere il
dolore dell’altro perché è lontano, oltre la nostra frontiera.

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