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Aprile 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

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a voce Alta

il progetto dedicato agli studenti per una Puglia libera dalle mafie

Visioni
di Gigi Mangia

Il teatro e i laboratori di educazione alla bellezza e alla legalità. È bello per l’adolescente essere correttamente educato per poi diventare un uomo felice.

Il progetto “A voce alta”, approvato e finanziato in Puglia dalla Presidenza Giunta Regionale, è pensato per affrontare le gravissime difficoltà educative e formative degli anni ’30 del terzo millennio.

A causa della pandemia gli studenti hanno perso 2 anni di scuola, ritardando la loro formazione intellettuale e personale. La didattica a distanza ha aggravato le condizioni di studio, facendo emergere le differenze sociali e aumentando la dispersione scolastica. Per la prima volta, infatti, c’è stata dispersione nella scuola primaria a Napoli e a Caserta dove 100 bambini non sono più andati a scuola, il sud è il
penalizzato. Le linee pedagogiche del progetto riguardano bellezza e legalità, raggiungimento dell’equilibrio personale attraverso il riconoscimento della norma come principio di valore; voce e corpo per definire il tempo e lo spazio delle relazioni attraverso una grammatica capace di vincere la paura dell’altro come causa del contagio; le parole come abito dei rapporti personali.

L’età evolutiva degli adolescenti è complessa, aperta ed imprevedibile. La si può paragonare ad una cattedrale in costruzione, il cui cantiere è fatto da molte competenze. Il tempo percepito dai giovani è quello vuoto, dove il futuro è assente ed è facilmente occupato dalle carriere facili, dai soldi illegali, dalle mafie. L’insegnamento della Costituzione non deve essere inteso come una barriera all’illegalità, ma come la strada attraverso la quale raggiungere il traguardo di cittadino libero di decidere e responsabile di scegliere. La Costituzione è un documento chiaro, scritto per educare, formare il cittadino di ogni tempo
nella cultura del rispetto. Le mafie sono le controculture che non possono essere sconfitte né dal penale né dall’impegno lodevolissimo dei giudici nei tribunali perché l’illegalità è una cultura che attraversa le vene delle parole e si può vincere con l’educazione civica.È bello per gli adolescenti essere correttamente educati per poi diventare uomini felici in una società libera di scegliere, responsabile di agire.

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Vaccinarsi in un museo

A Lecce la cultura è un valore accessibile per la salute e il benessere sociale

Visioni
di Gigi Mangia

Al Museo Castromediano di Lecce ci si vaccina ascoltando musica classica e passeggiando fra i reperti archeologici. Il vaccino al museo è un segnale importante di lotta al Coronavirus, un cambiamento e un’idea nuova, che promuove la cultura come valore  accessibile per la salute ed il benessere sociale. È una strada per non cadere nella solitudine. Un’idea di museo come cuore attivo della città, che vive per la comunità. Il museo è la casa delle muse, dove l’arte continua, dove la città si ritrova, dove la cittadinanza non si perde. Il museo conserva la Storia, resiste al tempo, sente l’uomo, lo conosce, parla della sua vita e lo difende. Il museo diventa il fronte dell’impegno civico contro la pandemia, evitando di affrontare il vaccino nel disagio, nella sofferenza della paura.

Ci sono tanti modi per non cadere nell’inferno del dolore, nel peccato della paura: difendere la salute in un museo è come trovare la strada che abbatte tutte le barriere.

L’arte è il solo farmaco che non ha bisogno di essere accompagnato dal bugiardino perché è un bene assoluto.

Chiudere i musei è stato un errore perché ha disorientato la vita della città. Aprirli al vaccino è un modo per ripianare il debito che le città d’arte, a torto, hanno pagato.

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La parola pace

Visioni
di Gigi Mangia

Nel suo viaggio del 17 marzo, il Papa ha parlato al mondo di Pace.
Sono 42 i Pesi in cui c’è la guerra ed è bandita la parola Pace: il mondo d’odio dei campi di concentramento, della distruzione dei villaggi, dei lager, dei profughi di guerra in cui il diritto alla vita è sospeso nelle mani di trafficanti i esseri umani. Papa Francesco ha parlato del tragico esodo dei cristiani, dopo l’invasione della Piana di Ninive da parte dell’Isis. La tappa ricca di significato è stata quella nella città di Qaraqosh, nella Chiesa dell’Immacolata Concezione che i terroristi avevano trasformato in un poligono di tiro. La storia delle religioni monoteiste è storia di sangue innocente, di distruzione dei simboli, di abbattimento dei templi di preghiera. Colpire i simboli religiosi, abbattere i monumenti serve per cancellare la storia e per annullare il genius loci dei valori, delle identità forti e delle loro tradizioni.

La città di Otranto è stata una pagina di storia di odio e di violenza religiosa. Nel 1480, la cittadina salentina subì l’invasione dei turchi al comando del sultano Maometto II Natih, il quale dopo aver decapitato, sul colle della Minerva 800 cristiani, invase la città e poi occupò la Chiesa dei Martiri, trasformandola in una stalla per i suoi cavalli, i quali ebbero modo di calpestare il mosaico del Frate Pantaleone. La guerra dell’Islam estremista del XXI secolo è stata rivolta proprio contro i simboli e i luoghi della cultura città, dalle sedi dei giornali ai monumenti. C’è un sovranismo di ritorno tra i popoli.

C’è una strada che porta all’odio e causa sangue: è quella che unisce il potere della politica al potere dell’altare nella fede. La cultura non ha chiuso il suo conto con gli errori del ‘900 ed il vocabolario degli intellettuali non ha le parole giuste per favorire una narrazione capace di affermare il futuro di Pace che vogliamo essere. È una lotta, lunga e faticosa, quella che bisogna fare prima di raggiungere quel modello sociale, culturale, economico-ambientale, in cui l’uomo non sia più lupo di sé stesso.

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Le cose che vorrei rifare post Covid

Visioni
di Guido de Liguoro*

Sprofondando nella giungla di Facebook a volte capito sopra una smagliante pepita di umorismo demenziale che qualche sconosciuto genio ha seminato come un moderno Pollicino a favore di noi stremati viandanti della quarantena.

Di solito me ne basta una a dare una boccata d’ossigeno alla mia giornata; oggi però sono inciampato su questo “Sta quarantena sta durando talmente tanto che il problema non sarà cosa faremo dopo, ma ricordarsi che ca@@o facevamo prima” non ho fatto in tempo a lasciar svanire il sorriso spontaneo che mi ha assalito il dubbio: non è che sarà davvero così?

Ho la sensazione di essere sulla strada della rassegnazione, della accettazione di questa realtà quotidiana come l’unica possibile, dell’abbandono della voglia di fare altro, di vivere altrimenti. Magari come vivevo prima.

Certo, penso rassicurato, mi ricordo bene che cosa facevo prima ma sarà possibile rifarlo uguale? E so che no, non sarà possibile! Come minimo perché io sarò cambiato, sono già cambiato e non so se vorrei davvero tornare come prima. Vorrebbe dire non aver tratto nessun insegnamento da questa condizione violentemente subita, vorrebbe dire aver cancellato un anno, rafforzato come la zona rossa, della mia vita.

Se penso a cose che facevo prima e che voglio ancora fare mi vengono in mente il turismo lento nella natura e in città, i concerti all’aperto, le gare di golf.

Poi ci sono cose che vorrei rifare in modalità evoluta, post Covid, 6.0: stare con gli amici e a teatro. O le due insieme.

Non so quale sarà la diversità che vorrò scoprire, so che dovrò esplorare più nel profondo quando ce ne saranno le condizioni. Sento che per me la base di partenza dovrà essere mettermi più a nudo, essere più sincero? Più spontaneo sicuramente. Spero di trovare qualche amico che vorrà fare con un me un pezzo di questa ricerca, magari tra le assi di un palcoscenico.

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione, cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto, appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo per fare solo cose appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il blog parolemiti.net

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Io non ho paura

Visioni
di Gigi Mangia

Il teatro non muore, vive.

Il teatro non ha un Dio da seguire, né una fede da praticare. Il teatro è il tempio della cultura, la casa dove si impara a lottare, a conoscere e a rispettare le parole; a crescere e a saper essere creativi; a vivere l’Altro, a resistere e vincere la paura.

Il teatro non è morto, con la sua forza ha superato le quattro stagioni del virus che ha sospeso la vita sociale e
congelato i rapporti personali.

La scienza è alleata dell’uomo. Il vaccino ci difende, il teatro ci guarisce. Passerà, io ci credo. Il teatro continuerà ad essere il tempio vivo della creatività dell’arte: il cantiere dove costruire il futuro ed imparare a camminare con gli altri.

IO NON HO PAURA.

Il 27 Marzo, nella giornata internazionale del teatro riflettiamo, studiamo, facciamo sentire la nostra voce indispensabile per fare della crisi un’opportunità, di crescita nella e con la cultura. Abitando il teatro.

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Fratello mio

Visioni
di Andrea Ortese*

Fratello mio,

sogno di quel posto ove l’anima mia, il cuore e la mente si ritemprano e vagano inconsapevoli vivendo colorate realtà; ove conigli, gatti, volpi e giovani draghi raccontano le loro storie e le loro gesta. Mi perderei nelle loro paure, decidendo di non sottrarmi dinanzi ad esse, poiché l’abbandono è un viaggio straordinario, necessario a ritrovarti, fratello mio, nei loro occhi ed in quelli sognatori e disubbidienti della mia
piccola Clara, seduta accanto a me, composta e timorosa, in una buia sala.

La tua assenza non segna l’oblio, ma ne perpetua la memoria e porta a comprendere la ragione del terrore. I confini tra sogno e realtà sono sfumati e la tua sigaretta restituisce immaginifiche figure che prendono vita, trafitte da luci psichedeliche nel silenzio fragoroso di una danza ancestrale.

“Zac, hai visto Sergio?” “Ma certo! È lì che insegue la sua amata in un candido abito da sposa, dirigendosi, curiosa, nella stanza proibita…”

“Ma non lo vedi? É là! Intento a cercare ristoro nel castello di Barbablù con i suoi due fratelli ed il loro biondo cane Dick”.

Ed io, ad un tratto, assaporo la bellezza di cui tanto parlavi e che la scena mi aiuta a rimembrare…un certo Tancredi, Conte di Lecce e re di Sicilia, le sue valorose imprese ed il suo regno breve come la tua esistenza, che segnò la fine del dominio normanno nel sud Italia.

Pensami Sergio, come io faccio sulla scena, tutto mi riporta a te e, desideroso, attendo riaprirsi il sipario.

“The greater is the struggle, and more glorious is the triumph“ (Nick Vujicic)

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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immagine di copertina Il National Dante Day, fra terzine e musica folk

Il National Dante Day, fra terzine e musica folk

Visioni
di Gigi Mangia

I poeti non fanno rumore nella storia, la scrivono. Non indossano gli abiti di moda, sono discreti nella solitudine riflessiva. Sono maestri del pensiero, insegnano a conoscere, ad usare le parole giuste piene di valore, ricche dei sapori della realtà per vivere il mondo dell’altro, per non avere paura delle differenze, per fare un viaggio costruito sulla forza creativa dell’immaginazione. Per vedere l’atlante delle debolezze dell’uomo. La Divina Commedia del sommo Poeta, è storia ad occhi aperti: a non avere paura del peccato e sentire il fascino magnetico del mistero. Il Poeta fiorentino ha dato all’Italia la lingua. Il suo grande merito è stato quello di stabilire un principio di relazione, il riconoscimento di identità, l’affermazione della resilienza fra lingua e popoli. Nella sua opera “Il Devulgari Eloquentia” il Poeta è stato filologo, politico e filosofo e ha fatto nascere il popolo italico nella sua lingua. In politica Dante Alighieri fu grande oppositore del papa Bonifacio VIII, capo dei guelfi neri a Firenze. Dante Alighieri seguì invece l’imperatore Arrigo VIII il quale morì nell’agosto del 1313 a Buonconvento (Siena) ponendo fine alle sue speranze di ritornare a Firenze e a quelle di coloro i quali desideravano il bene dell’Italia.

In mezzo al disordine, alle ingiustizie, alle ingerenze politiche del Papato, alle lotte civili, alle guerre continue tra città e città, l’dea del principe giusto e riordinatore era associata all’idea dell’Impero, per il quale l’Italia fosse, come Dante la proclamava, “il giardino dell’Impero”.

Era questo il grande disegno politico che il Poeta sviluppò nel “De Monarchia”.

L’evento però che cambiò profondamente la vita di Dante, fu la seconda sentenza del 10 marzo 1302 in cui veniva accusato “contro i quali fu proceduto con inquisizione fatta dal nostro ufficio e dalla nostra curia alle nostre orecchie per mezzo di una pubblica voce le parole che informavano della condanna per baratto, per inique estorsioni e illeciti lucri. Con ogni maniera e diritto sentenziamo, in questi scritti, che qualunque dei predetti in qualunque tempo venisse in potere del comune deva essere bruciato col fuoco sì che muoia”.

Questa sentenza, mai accettata dal Poeta, diede inizio al suo lungo esilio politico che troviamo nella sua grande opera: La Divina Commedia, l’opera più amata dagli italiani, la più vicina al sentimento delle
classi popolari.

Oltre alle traduzioni in lingue classiche, europee ed extra-europee, la Divina Commedia vanta anche un discreto numero di traduzioni in diversi dialetti italiani, realizzate tra il XVII e il XX sec. proprio per dare spazio e voce alla pluralità delle tradizioni culturali e sociali delle comunità italiane.

Il maestro concertatore della Notte della Taranta, Ambrogio Sparagna, ha cantato i versi delle Commedia dantesca. Il ritmo e la musicalità delle parole sono perfettamente in armonia con la scala musicale semplice (corta) della pizzica salentina; i versi in terzine e l’organetto del
maestro Sparagna sono il filo rosso che declina e sviluppa l’armonia della pizzica in cui la voce del maestro è semplice, chiara come è quella dei pastori.

Il maestro Sparagna, esperto studioso del folk, ha scritto e realizzato una pagina musicale popolare e colta rispettosa delle tradizioni, dimostrando che la Divina Commedia è la poesia dell’Europa
mediterranea. I giovani, le scuole, il teatro vive studia e rappresenta la Commedia dantesca, che è un’opera che non invecchia mai. Vivere Dante Alighieri per essere, almeno per un giorno, poeti.

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immagine di copertina Liberamente  ispirato a  “Discorso  drammatico in un palco vuoto in una notte già avanzata ”

Liberamente ispirato a “Discorso drammatico in un palco vuoto in una notte già avanzata ”

(Matteo Bonvicino)

Visioni
di Anna Giaffreda*

Non c’è nulla!

Non c’è vita!

Eppure esisto, incarno, sconfino, mutevole dilago

Racconto con parole nuove,

Mi esprimo attraversando moderni canali!

Non c’è nulla. Non c’è vita

Il palco è vuoto!

Ma c’è energia che si sprigiona da qui e trascina con forza tutto quanto,

Travolgo, ferisco,

Trafiggo, agito, scuoto

Questo è sempre stato il punto di contatto tra queste realtà e le altre

L’unico locus ubiquo

L’unica soglia che attraversa le realtà

Tutte, compresa questa,

la cui natura varia

a seconda del punto da cui la si guarda: il vostro, il mio

Ma non c’è più nulla qui

Non c’è più vita qui

Nessuno, né niente è mai stato qui, ultimamente

Niente sarà più questo posto ormai!

Questo palco è tutta un’illusione?

È tutto finito?

È tutto in un vortice !

Un enorme buco nero che ha attirato e distrutto tutto qui

Non c’è vita qui, non c’è nulla qui.

Eppure IO ESISTO!

Resto in ascolto, osservo i movimenti dei vostri occhi

L’espressione di quei volti di coloro che una volta mi sedevano di fronte

L’altra faccia di questa medaglia

Quella faccia misteriosa che sorrideva, si divertiva e assisteva al buio

Perché, per ogni storia raccontata,

ne esiste un’altra legata intimamente alla prima

È quella di chi guarda, si rallegra o si strugge in un flusso di energia che scorre nel senso opposto

Una forza uguale e contraria

E il tempo … il tempo è dalla mia parte

Indissolubile, consumato, stremato ma VINTO MAI!

Mentre qui, non c’è più nulla, non c’è più vita

Non qui, né altrove, né mai

Ma io ESISTO!

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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immagine di copertina Il teatro è la mia chiesa

Il teatro è la mia chiesa

Visioni
di Annarita Risola*

Il teatro è la mia chiesa,

il mio rifugio,

la mia libertà.

Qui osservo,

penso,

sogno,

mi apro all’immaginazione

e senza pregiudizio mi abbandono

all’ascolto.

Mi disseto di racconti possibili.

rifletto,

come la luce che giunge dal proscenio,

incontro me stessa,

l’altro accanto a me,

in quella comunione del piacere,

partecipato e semplice.

Sì, 

io sono una spettatrice,

educata al silenzio,

al rispetto dell’altro.

Abituata ad aspettare,

a non aver paura del buio,

a fidarsi…

Sì, 

è questo il punto!

Noi, 

Fedeli del Teatro siamo così:

educati, silenziosi,fiduciosi…

Ma ora basta!

Riaprite i teatri!

Riaprite.

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori Guarda il video https://vimeo.com/521344

Foto di Antonio Giannuzzi

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immagine di copertina Teatro, io ti prometto di essere sincera

Teatro, io ti prometto di essere sincera

Visioni
di Eleonora Lezzi*

Credo di avere un problema. Quando parlo di teatro sprofondo in un complesso disturbo dissociativo della personalità. Sento di avere personalità multiple che fanno un gran baccano e cercano di parlare senza alzata di mano. Allora oggi proverò a silenziare tutte le altre voci e a far parlare solo l’Eleonora spettatrice, spettatrice abituale, coinvolta ma solo spettatrice.

Questa Eleonora dice che non le manca il teatro. Mi dispiace ma ci ha pensato bene, tanto, e non le manca proprio il teatro.

Perché? Domanda del secolo… perché il teatro troppo spesso la delude. Probabilmente in queste parole c’è il rancore di chi c’ha provato e non è riuscito o, forse, non ci ha provato abbastanza…ma psicologismi a parte, da spettatrice, da pura spettatrice il teatro non le manca perché non la soddisfa, nella maggior parte dei casi non la emoziona e non le piace; riesce a trasmetterle solo come una cronaca asettica messaggi certamente interessanti, ma che non fanno breccia più di quanto possano fare i giornalisti di un tg e questo per lei non è sufficiente. Ciò non vuol dire che non le manca la relazione, il contatto, il confronto ma quell’entrata in sala, quel momento lì seduta sulla poltrona…troppe volte si configura come un momento di…noia. E allora si chiede “è perché sono troppo stupida io o c’è anche qualcosa che non va dall’altra parte?”. Io sarò anche abbastanza stupida ma, in verità, quello che penso realmente è che il teatro è sommerso da una montagna di mediocrità, una proliferazione di tanta, tanta, tanta buona volontà ma poca attitudine (ammetto che nella mia prima stesura la prima parola sgusciata fuori è stato talento).

Sia chiaro, con questo discorso non voglio mettere in discussione il valore sociologico e antropologico del teatro, la sua valenza pedagogica, poi, assolutamente no! Ma non ci posso fare nulla se tutta l’eccitazione che mi pervade all’inizio, quando sto per varcare quella soglia alla fine si trasforma molto spesso in un “mmh carino…andiamo a mangiare?” Non sempre è così, sia chiaro, ma lo è spesso. Troppo spesso. Forse però deve
essere così? Forse sono io che con la mia sensibilità sufficientemente cinica e abbastanza fredda non riesco a farmi coinvolgere? Più vado avanti più mi vengono domande alle quali riesco a dare solo risposte che si contraddicono le une con le altre.

Ma poi andando oltre, se è così importante mi chiedo, perché alla gente non interessa (se non ai soliti pochi).

Di chi è a quel punto il problema, della gente che non è educata ? È un problema di identità? È un problema di ruolo? Di obiettivi, di qualità, di contenuti ? Ancora domande.

Penso poi al fatto che il teatro da secoli si interroga su quale sia la sua identità, il suo ruolo ed è fuori di dubbio che questa sua continua ricerca sia il riflesso nello specchio di quella più profonda che è propria dell’individuo stesso, ma forse bisogna riflettere sul fatto che non tutti hanno la pazienza o la voglia di portare avanti questa ricerca e di farsi determinate e scomode domande. Allo spettatore medio di questa crisi di identità costante non importa. Se chiedo a mia madre di venire a teatro con me, lei mi risponde di no, perché si annoia, perché non lo capisce, perché ha già tanti problemi e ha già tante domande a cui dover cercare risposta, che non ha bisogno di farsene delle altre. Ecco, forse la grande differenza tra il teatro e la religione, tra il silenzio degli spettatori di teatro e la gran voce dei fedeli che, durante questo periodo di pandemia hanno chiesto la riaperture della Chiese, è anche questa; il teatro crea domande, la Chiesa dà risposte e anche piuttosto confortanti.

Comunque, tornando al motivo per il quale alla me spettatrice, a lei personalmente, il teatro non manca è perché semplicemente spesso la lascia indifferente.

Mi viene in mente allora una frase che ho letto di Peter Brook e che dice “la forma teatrale non esiste per permettere a un gruppo di persone di raccontare, di dire, non è una forma di comunicazione attraverso la quale una persona possa spiegare qualcosa a un’altra, un forma in
cui esiste chi emette un messaggio e chi lo riceve (…) Credo che il teatro sia una possibilità data all’uomo di accrescere durante un certo tempo l’intensità delle sue percezioni. È tutto qua ma è enorme.” Ripeto forse è un mio problema di sensibilità, anzi di insensibilità, ma quanti riescono a creare realmente questa condizione? Per me pochi. Il resto è un semplice apprezzare lo sforzo, passare una serata diversa senza troppe emozioni e senza troppe pretese, tanto vale andare ad una conferenza, un incontro per discutere di certi temi piuttosto che di altri. Ed è qui il problema: come posso desiderare qualcosa che non mi genera emozioni e sentimenti, almeno non di solito. Ecco perché per me l’andare a teatro, se escludo tutte le altre motivazioni più legate alla mia personale storia, diventa un’attività accessoria rispetto alla quale possono trovare altri e più facili surrogati.

Quando vado a teatro vorrei ogni volta poter toccare le rughe che si formano attorno alla bocca durante un sorriso o una risata, sentire la tensione sulle tempie e attorno agli occhi mentre penso e rifletto su quello che vedo, vorrei sentire il naso umido perché mi sto commuovendo, stringere tra labbra le lacrime salate e non riuscire più a mettere a fuoco per gli occhi umidi; vorrei vedere il mio corpo che si protende in avanti per ascoltare meglio, che reagisce, che si contrae e si rilassa, si contrae e si rilassa e ancora e ancora. Ecco vorrei che il teatro fosse sempre contrazione e rilassamento. Vorrei che il teatro, anche da spettatrice, fosse un desiderio. Bene, questa è la confessione di una cinica insensibile che ha scelto di fare del teatro la propria ragione di vita, amandolo e odiandolo profondamente.

Ma si sa, le più intense relazioni sono anche quelle più complicate.

Magari domani dirò altro, magari domani dirò il contrario, magari un giorno io e il teatro faremo pace. Certo è che le relazioni più solide si basano sulla sincerità. E allora d’ora in avanti, teatro, io ti prometto di essere sincera.

In foto: Fifty kids di Elliott Erwitt

*ASSENTI, PRESENTI – Progetto di scrittura e drammaturgia partecipata con gli spettatori . Guarda il video https://vimeo.com/521344407

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