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Gennaio 2021

Non sono previsti spettacoli per il mese selezionato.

immagine di copertina La memoria aiuta a fare il futuro

La memoria aiuta a fare il futuro

Visioni
di Gigi Mangia

Il 27 gennaio la Giornata della Memoria fa 20 anni, fu istituita dal presidente Carlo Azeglio Ciampi e approvata dal Parlamento nel 2000.

Una scelta importante che ha tenuta viva la memoria sulla storia; è stata una finestra aperta sugli eventi più scuri e più duri dell’Europa ed è servita, soprattutto, a far conoscere anche ai giovani gli “specialisti dell’odio”.

La Giornata della Memoria si è avvalsa di molte testimonianze: ricordiamo quella del carabiniere Vito di Palma, oggi centenario, nato a Turi nel 1920 e residente a Roma. Di Palma fu un inviato come carabiniere speciale ad Atene, nel ’43 si rifiutò di aderire al nazismo e per questo fu rinchiuso in un lager in Austria.

La storia è ricca degli “specialisti dell’odio” che in Italia non ebbero opposizione. Benito Mussolini era a conoscenza dello sterminio degli ebrei, come anche il suo Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, ma nessuno disse una parola per impedire che i treni carichi di ebrei raggiungessero Auschwitz.

La storia è ricca di figure ambigue: ricordiamo lo scienziato nato a Noicattaro nel 1880-1970 che sottoscrisse e partecipò alla stesura delle leggi raziali del 1938. Nicola Pende oggi si trova sepolto al centro dell’altare della Chiesa Matrice, l’Istituto Comprensivo del paese porta il suo nome.

La memoria serve per conoscere e serve soprattutto per prendere le distanze da quei personaggi che hanno mortificato e macchiato la storia dell’Italia. Oggi il tema delle testimonianze diventa importante perché i testimoni stanno per “finire”. Ci resteranno le testimonianze del digitale, del cinema, dei musei e dei teatri.

La musica, la poesia, la pittura, la letteratura sono le leve attraverso cui costruire la memoria della conoscenza e sono anche le discipline attraverso cui capire che la nuova identità dell’Europa nacque dalle macerie dell’Europa.

L’identità del nazifascismo era quella dell’individuo puro e perfetto, rappresentato dalla figura militare il cui corpo manifestava tutta la sua forza nell’eleganza della divisa, nel lucido degli stivali. Il nazismo, infatti, per realizzare il mito dell’io, doveva de-umanizzare l’uomo e difenderlo dall’inquinamento raziale e, quindi, dall’uomo ebreo di cui dichiarò la distruzione.

Il nuovo modello di identità dell’Europa rinata, risiede nell’individuo che deve trovare in sé la capacità di relazionarsi con l’altro di rispettarlo e di vivere con lui la libertà. La Giornata della Memoria serve proprio per fare questa esperienza e soprattutto per trovare la forza di non cadere mai nella banalità del male.

Hannah Arendt ci ha insegnato che l’uomo responsabile è anche l’uomo della libertà.

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immagine di copertina Teatro, Agorà della parola

Teatro, Agorà della parola

Visioni
di Gigi Mangia

Il 21 gennaio di cent’anni fa, a Livorno, nel Teatro
“Carlo Goldoni”, nasceva il Partito Comunista Italiano.

Il movimento operaio nelle fabbriche aveva vissuto il
biennio rosso (1919-1920) e aveva fatto esperienza dei limiti della politica e
vissuto il tormento del ruolo della politica nell’organizzazione della società,
svolto dagli intellettuali di cui Antonio Gramsci fu tra i primi maestri.

Il partito comunista nasceva in un teatro, nella casa
della cultura. Il teatro nella storia ha sempre rappresentato l’uomo, ha
accolto i suoi sogni, si è fatto carico della sua educazione e ha guidato la
sua emancipazione.

Il teatro, per le classi sociali deboli, è stato
sempre uno spazio libero e accessibile, è stato L’Agorà della parola, dove i
maestri hanno potuto insegnare agli oppressi, agli esclusi, come sognare una
vita migliore.

Nel ‘900, secolo dei totalitarismi e delle due grandi
guerre mondiali, il teatro è stato l’istituzione di riferimento, di riflessione
e di ricerca per vincere il tormento della cultura, che però, ha resistito al
nazifascismo e alla distruzione della violenza delle grandi guerre.

Il teatro non ha mai chiuso le sue porte all’uomo, ha
sempre favorito il suo bisogno di sapere e quello di essere ricercatore di
felicità nell’arte e con l’arte.

Per fare teatro bisogna conoscere l’uomo e bisogna
avere la capacità di accompagnare il suo cammino. I cent’anni di storia del
Partito Comunista, oggi profondamente cambiato, appartengono alla storia del
teatro, dove è nato, perché il tormento del ruolo della cultura nella società
non è finito, anzi, forse, si è fatto più complicato, più complesso e più impegnativo
rispetto al passato.

La chiusura dei teatri ha portato silenzio e ha fatto
diventare mute le città.

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immagine di copertina Non tutto il male…

Non tutto il male…

Visioni
di Guido de Liguoro*

Questa mattina ho sentito in radio Massimo Recalcati che
argomentava sulla Didattica A Distanza da un punto di vista, per me, nuovo e
che spero di sintetizzare correttamente: Perché concentrarsi solo su quello che
la DAD fa perdere e non su quello che fa guadagnare? Non vuol dire che tutto va
bene ma che non tutto il male… Speriamo e cerchiamo di avere i ragazzi in
classe al più presto ma facciamo tesoro di tutto quello che abbiamo scoperto,
inventato, imparato con la DAD.

Per me i tempi della didattica, a distanza o in presenza,
sono finiti da tempo; quello che mi manca in presenza, molto, è il teatro. E
vivo con disagio le alternative a distanza che i professionisti del settore mi
propongono. Forse anche io devo cambiare punto di vista sul TAD.

Mi sono visto proporre decine di spettacoli online,
offerta generosa, credo faticosa per chi la propone, dolorosa anche ma in
fondo, banale.

Ma ho visto anche molto di più, di diverso, di nuovo.
Molto che, forse perché concentrato su ciò che mi mancava, non sono riuscito ad
apprezzare.

Ho visto spettacoli in scatola, spettacoli consegnati a
domicilio nei cortili, spettacoli a sorpresa come in un caccia al tesoro,
spettacoli site specific in siti tanto improbabili per me da essere spettacolo
in sé, spettacoli proposti da palchi distribuiti su più città e più continenti.

Certo rimane la mancanza del contatto con il pubblico e
non solo per gli interpreti, anche per gli spettatori, quell’essere parte di.

Normalmente non guardo i talent alla televisione ma una
sera, capitatoci per caso, anche lo zapping ha un suo perché, mi sono trovato,
quasi, a teatro.

Di fronte al palco c’era una parete di schermi, su ogni
schermo il viso di uno spettatore collegato in diretta che diventava quindi
parte dello spettacolo, per gli interpreti e gli spettatori a casa, o a caso,
come me.

Il teatro uscito dai teatri ha saputo inventare nuovi modi di integrare la tecnologia e nuovi spazi di espressione. Sono certo che i professionisti sapranno farne tesoro anche quando gli applausi torneranno a viaggiare nell’aria della sala. 

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione,
cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e
divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto,
appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un
solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo
per fare solo cose

appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve
fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il
blog parolemiti.net

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immagine di copertina Il ritardo del governo sulla scuola

Il ritardo del governo sulla scuola

Visioni
di Gigi Mangia

Il ritardo del governo sulla scuola nasce fra aprile e maggio del 2020 quando non si è capito che il Covid-19 stava portando dei cambiamenti profondi nell’organizzazione sociale e quindi nelle relazioni personali.

Si è perso tempo di studio prezioso per i giovani: meno si studia e più si è vulnerabili. A torto si è pensato che, superata la crisi, tutto sarebbe tornato alla vecchia normalità. È stato un gravissimo errore non vedere i ritardi della scuola, soprattutto i ritardi nella tecnologia digitale e ancor di più non aver avuto un’idea di scuola capace di rispondere ai bisogni formativi ed educativi del futuro delle nuove generazioni.

Si è perso tempo prezioso e soldi spesi inutilmente per i banchi a rotelle e non si è pensato invece a come far arrivare in sicurezza gli studenti a scuola. Nonostante la scuola sia la priorità del Paese, di essa si è solo parlato, senza ragionamenti né programmazioni.

La scuola del futuro

La scuola che non lascia indietro nessuno deve avere spazi aperti e accessibili, senza barriere e deve essere in rete con i musi, biblioteche, teatri e fondazioni culturali per imparare il mestiere delle arti e della scrittura per diventare generazione matura. Per cambiare la scuola servono soldi, molti soldi, per portare la rete della fibra ottica, tutti gli istituti devono essere cablati e interconnessi, ma soprattutto serve una “visione culturale” della scuola di domani. Anche il tempo della scuola deve cambiare: non può più essere quello del tempo delle lezioni con i professori, ma quello dello studio, della ricerca, dello scambio e della condivisione fra gli studenti.

La scuola del futuro è quella che non chiude mai, rimane sempre attiva, comunica sapere e promuove socialità. La nuova scuola ha bisogno di personale preparato al cambiamento. L’Italia nella conoscenza e nell’uso delle competenze tecnologiche è ultima in Europa. La scuola nuova deve essere quella di uno spazio sociale libero dal mercato e lontano dal capitalismo. La scuola deve essere l’incontro dei Maestri da seguire e ascoltare. I Maestri aiutano ad essere liberi e capaci di rispettare la vita degli altri.

La scuola siamo noi, nostro è il dovere di
lottare, di partecipare e di ascoltare. Nella scuola si cresce, si diventa
maturi e da essa dipende il futuro che vogliamo.

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immagine di copertina Il bello della diretta

Il bello della diretta

Visioni
di Guido de Liguoro*

Il bello della diretta

Sono
abbastanza grande per aver avuto la fortuna di vedere in televisione (canale
unico in bianco e nero) tanto teatro. I miei genitori non ne perdevano, e non
ce ne facevano perdere, uno. Ho conosciuto De Filippo, Govi, Baseggio e tutti i
grandi; i primi li ricordo meglio perché, bambino, mi facevano ridere. Gli
sceneggiati, mio padre non voleva vederli, i film, poco. Non ho mai capito
perché.

A teatro
i miei non andavano, tantomeno portavano noi piccoli; costava troppo, era un
divertimento da borghesi benestanti. Poi è arrivato il ’68, il teatro si è
fatto popolare e mi ha aperto le sue porte; in televisione non mi piaceva più.
Anche questo non capivo perché. Mi ci è voluto mezzo secolo per trovare una
ipotesi di risposta, effetto COVID.

Chiuse
le sale, il teatro è tornato a riproporsi sul video; ne ho visto una certa
quantità, non sempre ne ho goduto. E non parlo della qualità del testo o
dell’interpretazione, naturalmente. Parlo di tecnica.

Il primo
teatro in televisione era rigorosamente in diretta, camera fissa sul centro del
palcoscenico, poi, con le traduzioni televisione, le camere hanno cominciato a
moltiplicarsi, muoversi, “scegliere”. Tra un primo piano e uno zoom, il regista
televisivo ha cominciato a proporre una visione “indirizzata”, lo spettatore
era guidato, non più libero. Era lo stesso spettacolo? Per gli attori forse sì,
per lo spettatore sicuramente no! Migliore o peggiore? O solo un’altra forma di
spettacolo? Possiamo aprire un dibattito.

Dalla
fine degli anni 60, inoltre, alcuni programmi televisivi, quasi tutti i
teatrali, hanno cominciato a essere registrati e trasmessi in differita. O
trasmessi in diretta e ritrasmessi, magari anni dopo, in differita. Era lo
stesso spettacolo? Credevo di sì. Fino ad oggi.

Adesso
so che la differenza è nello spettatore che lo sa.

Sa che
se lo spettacolo è in diretta, l’attore che agisce non sa, come lui, che cosa
succederà un attimo dopo. Certo conosce la battuta, l’ha ripetuta mille volte
nelle prove e nelle repliche precedenti, ma questa sera è lì davanti a
spettatori che, magari a migliaia di chilometri di distanza, sono testimoni di
questo unicum, un momento diverso da ogni altro e irripetibile.

In
differita lo spettatore sa che tutto è già avvenuto e nulla lo potrà cambiare.
E’ lo stesso spettacolo? I pixel che si eccitano sul mio schermo sono gli
stessi, nella stessa medesima sequenza. I neuroni che si eccitano nel mio
cervello, no.

Ma anche
su questo possiamo aprire un dibattito.

*Meridionale per nascita, lombardo per formazione, cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro, viaggi e divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto, appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo per fare solo cose appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve fare!” Quasi attore in formazione, spettatore appassionato, attualmente cura il blog parolemiti.net

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immagine di copertina Teatro e pregiudizi

Teatro e pregiudizi

Visioni
di Guido de Liguoro*

Mi piace andare a teatro. Proprio la sensazione
fisica di essere immerso in una costruzione di realtà, finta ma non falsa,
direbbero gli addetti ai lavori. Costruzione condivisa con gli altri del
pubblico, dove autori, interpreti, registi e tecnici sono al tempo stesso
materia e forza lavoro.

Mi piace il repertorio classico, i concerti, soprattutto jazz, il balletto, l’opera, quasi tutto insomma anche se credo di essere abbastanza esigente. Ma quello che mi piace forse di più è il cosiddetto teatro sperimentale o il teatro d’innovazione. Forse proprio perché non esiste, o non è palese, certo non viene fornito al pubblico, un progetto rigoroso, mi sento più libero di apportare il mio contributo alla costruzione della realtà che sarà qui e ora solo mia e di quelli in sala con me.

Seguo quindi con attenzione i programmi delle
sale che privilegiano questo tipo di produzioni. Quando ci ho trovato una
rassegna di musica classica mi sono meravigliato. E mi sono chiesto perché; non
tanto perché la rassegna ma perché io mi meravigliassi. E ho constatato un mio
pregiudizio: un pregiudizio architettonico!

Nella mia testa, i teatri, nel senso di sale
teatrali, si possono classificare anche in base alla struttura e
all’arredamento. Proprio da questo discende, nella mia testa, il pregiudizio.

Ci sono i teatri classico/pomposi, tutti ori e
decori, panni rossi e lampadari di cristallo a goccia, come i teatri d’opera o
il Politeama Greco (consentitemi gli esempi territoriali da salentino recente).
Ci sono i moderno/razionalisti un po’ freddini, belli puliti e, soprattutto,
tendenzialmente scomodi, da sedersi un po’ sul fianco con le ginocchia in
bocca, tipo l’Arcimboldi o lo Strehler. L’Apollo in realtà non è poi così
scomodo.

Quelli che definisco bomboniere sono i teatri a
dimensione raccolta e possono essere anche molto diversi tra di loro, dal
paradigmatico Teatrino di Vetriano, al Real Teatro di Corte di Caserta, al
Palladio di Vicenza fino al nostro Paisiello. Ci sono poi decine, forse
centinaia di Cinemateatro che resistono Teatro nonostante l’estinzione
dell’avanspettacolo; tendono purtroppo a scomparire, come l’Antoniano.

Amo le sale popolar/militanti con i pavimenti freddi, le sedie scompagnate e la passione che traspira dai muri come il Comunale di Ruffano.

Infine, ma solo per dovere di ospitalità, i neri (avrei preferito chiamarli tetri ma teatri tetri proprio non si può sentire). Hanno nere le pareti, nero il palco a livello zero, e a volte anche le sedie sui gradoni ripidi. Spesso occupano uno spazio ex industriale. Esempio tipico il Libero di Milano. Lo so vi aspettavate altro. Ok, anche Koreja.

Ma veniamo al mio “pregiudizio architettonico”:
era (sì, un po’ lo è ancora, lo confesso) associare ad ogni tipologia di sala,
una certa tipologia di spettacoli, ampia fin che volete, non esclusiva,
naturalmente, ma pur sempre sgradevolmente restrittiva.

Non avevo mai associato ai “neri” la musica
classica.

Ma, fortunatamente, il teatro serve anche a questo: a emergere dai pregiudizi!

*Meridionale per nascita, lombardo per
formazione, cittadino d’Europa per scelta. Dopo una lunga vita di lavoro,
viaggi e divertimenti vari, incontra l’ispirazione a Lecce. Curioso di tutto,
appassionato di teatro e molto altro ancora, vive seguendo un motto: “c’è un
solo modo per essere felici, fare solo cose appassionanti. E c’è un solo modo
per fare solo cose appassionanti: appassionarsi di tutto quello che si deve
fare!”

Quasi attore in formazione, spettatore appassionato,
attualmente cura il blog parolemiti.net

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immagine di copertina Caro Teatro…

Caro Teatro…

Un vuoto di pagine bianche senza le parole del pensiero riservato dentro le mura

Visioni
di Gigi Mangia

Lettera di Natale

Carissimi, quest’anno il Natale del teatro sarà senza festa, un’interruzione amara che disorienta. Un vuoto. Pagine bianche senza che le parole del pensiero possano trasformarsi sul palcoscenico vivo, che aspetta di essere visto e applaudito dal pubblico.

Il teatro lavora in solitudine, resistendo e vincendo ogni sconforto. Oggi il teatro è chiuso alla nostra vita, chiuso al bisogno di cultura e all’emozione degli spettacoli. Siamo disorientati e ci sentiamo orfani delle strade maestre. Siamo in silenzio, un silenzio utile, che ci conduce alla domanda più antica della storia: che fare per riparare la rottura dell’uomo con la natura? Come superare la distanza sociale tra le persone? Come tornare al contatto e superare la paura di toccare i corpi?

Ci rendiamo conto che non basta e ci interroghiamo ancora su cosa sia necessario fare per trovare la strada che ci porti fuori dalla crisi, che ci aiuti ad incontrare i maestri, che ci porti ad aprire i teatri.

Abbiamo bisogno di avere luoghi del pensiero dove incontrare la creatività dell’arte, vitamina per la mente. Abbiamo bisogno di vivere l’arte e contemplare il bello. Il tempio è la casa della contemplazione, della scoperta delle parole, dell’incontro di maestri con cui imparare a vivere il tempo condiviso con gli altri.

Fin dall’antichità le città hanno avuto teatri aperti, a Lecce il Teatro Romano e l’Anfiteatro, per crescere e non subire la solitudine inutile. Noi invece i teatri li abbiamo chiusi, causando la morte delle città, diffondendo la solitudine malata e pericolosa. Il teatro è il tempio della preghiera laica dove abbiamo il dovere di pensare e di costruire il futuro; dove fare la strada insieme per ritornare a vivere la nostra vita sulla terra, senza paura. Dobbiamo imparare a fare come le piante, che trasformano il fiore in frutto per nutrire il corpo e rendere felice la mente.

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immagine di copertina Giornata internazionale della dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo

Giornata internazionale della dichiarazione universale dei diritti dell’ uomo

10 dicembre

Visioni
di Gigi Mangia

Il 10 Dicembre 1948, giornata della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, è una giornata di svolta dopo le grandi e terribili guerre mondiali, per gli Stati circa il rispetto della persona.

Tale Dichiarazione doveva impegnare tutti gli Stati al rispetto e al riconoscimento della mobilità dei popoli in fuga dalle grandi guerre come i profughi, che abbandonano la loro terra e la loro casa a causa della guerra ( vedi l’ art. 4).

Le cronache di questi ultimi anni riempiono pagine di giornali che raccontano la violenza e il mancato rispetto dei diritti della persona. È questo il mondo degli invisibili.

Sono famiglie, interi villaggi che sfidano la morte nel mare e affrontano la violenza sulla terra sfidando, alle frontiere, i poliziotti armati che per fermarli li violentano con sbarre di ferro arroventate, li feriscono col filo spinato, li aggrediscono con cani feroci. Nessuno vede la violenza contro cittadini in fuga inermi, nessuno si indigna per le donne stuprate nei centri profughi “lager” della Libia e della Siria.

Basta questo per mettere in evidenza come sia lontano il rispetto della Dichiarazione Universale dei diritti della persona. In particolare per noi italiani che dovremmo ricordare la figura di Giulio Regeni che prima di essere ucciso, è stato torturato.

Per questo, nel nostro impegno verso la
Dichiarazione Universale, dedichiamo questa giornata a Giulio Regeni e
chiediamo giustizia per un giovane che è morto nel segno del rispetto dei
diritti della persona.

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immagine di copertina Giornata  internazionale delle  persone con disabilità

Giornata internazionale delle persone con disabilità

3 dicembre

Visioni
di Gigi Mangia

Nella vita sociale dei disabili c’è un
muro di cristallo, che non si vede, ma è insuperabile ed è, quindi, difficile
da abbattere: è quello del pregiudizio pesante come un macigno. La disabilità è
un’esistenza dura di lotta contro l’infausto fato. Nella poesia “La sera del dì festa” il poeta Giacomo
Leopardi accusa il destino:

“a te
la speme nego – mi disse, – anche la speme; e d’altro non brillin gli occhi
tuoi se non di pianto”
.

Il poeta filosofo della vita ci ha insegnato che la disabilità è quella di fare i conti di persona con la durezza della vita. Essere disabili oggi, vuol dire essere in lotta per non restare soli, per non essere esclusi e per non essere solo assistiti con pochi soldi.

Il vuoto sociale, causato dal Covid19, ha notevolmente aggravato la vita delle persone disabili: nella scuola, nel lavoro, nelle relazioni sociali, in famiglia. Il conto della crisi lo pagano sempre i più deboli percepiti come un peso per la società. La lotta, però, per non finire nell’inferno della crisi, non deve riguardare solo le persone con disabilità, ma anche i giovani, le donne, gli anziani e una società che immagina il futuro senza barriere e che non lascia indietro nessuno.

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Sconfiggere la cultura dell’odio

con l'educazione

Visioni
di Gigi Mangia

25 novembre giornata internazionale contro la
violenza sulle donne.

L’offesa e la violenza sulle donne, oggi, è cresciuta ed è diventato un problema culturale rilevante per l’educazione e la politica. Da studi sociali risulta che i soggetti più odiati, nell’ordine, sono le donne, gli ebrei, gli immigrati, i musulmani, gli omosessuali e i disabili. Oggetto principale dell’odio verso la donna è il suo corpo. La donna, infatti, è giudicata per come si veste, per come si cura, per come mostra la sua bellezza. Gli strumenti preferiti per offenderla sono i social, perché consentono all’uomo un grande potere ed un linguaggio facile per la comunicazione violenta e offensiva.

Donne e carriera

Un altro motivo di disprezzo, sembra essere la carriera. La donna oggi, si è liberata da vecchi stereotipi, si è imposta con successo negli studi e quindi ottiene traguardi professionali superiori a quelli dell’uomo. Tra i diplomati la percentuale delle donne è del 64% e anche tra i laureati le donne sono in maggioranza. Eppure, nonostante i livelli di istruzione più elevati, il tasso di occupazione femminile è ancora molto basso rispetto ai colleghi. Un divario che risulta molto marcato rispetto alla media europea.

La donna preparata, sicura e capace ha messo in crisi il modello maschile fondato sulla figura dell’imprenditore, del manager, del campione nello sport. Nella competizione sociale e professionale la donna ha superato spesso l’uomo e questo è un torto insopportabile. L’uomo ha perso la proprietà del corpo e il potere sulla donna, oggi libera perfino di scegliere quando diventare madre.

Con l’educazione si sconfigge l’odio

Il problema della violenza sulle donne è molto serio e centrale nella società digitale profondamente cambiata rispetto al passato. Per cambiare e per costruire nuove relazioni professionali, culturali e progettare una società libera dal conflitto uomo-donna, bisogna partire dall’educazione. La scuola è coinvolta in questa sfida come anche il teatro. Il terreno da privilegiare è quello di lavorare per un’educazione fondata sulla sfera emotiva e cognitiva, per progettare e costruire una personalità morale e intellettuale in grado di relazionarsi con l’altro nella responsabilità del rispetto e della libertà.

Bisogna superare il modello culturale che privilegia il maschio forte come un soldato e ricco come un manager rispetto ad una donna obbediente ed esperta di cucina, impegnata a tenere la casa pulita. Bisogna, insomma, liberare l’educazione dai ruoli che contrappongono l’uomo e la donna nella società. L’uomo sano sa amare quando la mente non comanda il cuore, ma al contrario, lo sa ascoltare. Nella mente, infatti, spesso nascono i disturbi più pericolosi, il comportamento violento, il disprezzo dell’altro, il sentimento di proprietà e possesso del corpo della donna quale strumento dei suoi bisogni, a partire dalla sessualità. Insieme, la scuola e il teatro possono lavorare per sconfiggere, con l’educazione, la cultura dell’odio.

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