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Giornata mondiale del profugo

20 giugno 2020

Visioni
di Gigi Mangia

Il tema dei profughi, nell’agenda politica e nelle relazioni internazionali dei paesi, è quello irrisolto e manca l’applicazione delle convenzioni internazionali dei diritti, a partire dalla convenzione di Ginevra.

I numeri

I profughi, dal 2010 al 2020, sono raddoppiati raggiungendo gli 80 milioni: la popolazione di un grande Paese. Le cause sono molte e diversificate: dalla povertà al lavoro di schiavitù; dall’indigenza sociale alla mancanza di cure; dall’analfabetismo alla negazione dell’istruzione. Interi villaggi abbandonano la terra e scappano, dalla fame, dalla guerra sfidano le notti perché i cieli delle loro notti sono senza storia, i profughi per i trafficanti di persone sono merce. Nel suo libro “Pescatori di uomini” Nello Scavo, giornalista di Avvenire, documenta questa vergogna internazionale del traffico di essere umani.

La situazione odierna

Oggi la partenza avviene dalle coste libiche. I profughi sono sequestrati nei lager, violentati e obbligati a pagare, le donne invece sono stuprate. L’Italia finanzia l’inferno disumano della Libia, fornisce motovedette per controllare in mare le partenze e finanzia la mafia libica. Sono i capi a decidere, chi deve partire e chi deve restare e continuare a pagare.

La gestione delle partenze è sporca. I trafficanti mettono in mare tre quattro barconi di legno insicuri; quando sono in mare aperto due, tre li abbandonano, un solo barcone lo portano indietro per far vedere all’Italia il loro compito di controllare sul mare le partenze giustificandosi il merito dei finanziamenti. È un gioco di soldi e di morti che nessuno nel nostro paese vuole vedere a partire dal governo. Nel mare c’è l’obbligo di aiutare chi è in pericolo di morte. È un diritto questo nato con la storia dell’uomo, in passato sotto le leggi degli dei, nei tempi moderni sotto la tutela delle convenzioni internazionali dei diritti umani.

Giornata mondiale del Profugo, in conclusione

Davanti al nostro egoismo di rifiutare i poveri profughi, di sentirli nostri avversari, venuti a rubare la ricchezza e i nostri privilegi, la civiltà dei diritti è miseramente caduta e le convenzioni servono solo per scrivere le pagine dei libri di storia del diritto internazionale. L’ ingiustizia è la miseria nel mondo, dobbiamo sentirci tutti colpevoli.

Leggi anche: Giornata internazionale del clima

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immagine di copertina 15 giugno, ancora, sono Koreja

15 giugno, ancora, sono Koreja

Visioni
di Gigi Mangia

15 Giugno e sono ancora Koreja, con tanta voglia di essere un teatro normale. Finalmente è la fine, un ritorno, l’inizio di un nuovo tempo, la fine del tempo sospeso. E’un incontro con la città e con la comunità che vive del teatro e si riconosce in esso. Koreja ritorna: spazio pubblico, teatro pubblico, sociale, spazio della parola, dell’ascolto, del sentire il respiro del tempo della creatività che, segna il cuore e riempie la mente. Koreja ritorna nella fatica del tempo, nel calendario della città. Il Teatro è stato chiuso, non è stato fermo, è stato resistenza. Un antico proverbio cinese recita: “Il cielo è senza rumori e senza odori”. Essere padroni del destino significa controllare il tempo della morte. Se si è senza forma e senza rumori, i nostri movimenti e le nostre intenzioni saranno invisibili al nemico. Se sincronizziamo le nostre azioni con i processi naturali, la nostra forza sarà inarrestabile. Il teatro non è indifferenza al tempo, ma consapevolezza di essere resistenza, di essere nato per educare e per conoscere l’uomo. Il “tempo ora” nella storia è quello della sfida. È quello di liberare “la distanza sociale” dal suo falso significato. È infatti una parola sbagliata e malata che disorienta il vivere e latitare la città. La sfida del presente è quella di trovare un nuovo “alfabeto” e una grammatica che non neghi all ’uomo, la sua natura sociale. Bisogna imparare dalle piante: avere pazienza e non avere fretta per la conoscenza. Le piante conoscono la sapienza del giorno e vivono della sua luce e rispondono alle avversità con i fiori. Il fiore non teme il cielo, lo riempie di profumi e di colori, lo fa diventare più bello! Koreja ritorna per continuare la corsa e attraversare le fatiche della sfida, col cervo bianco, con le corna fiorite. Ritorna per portare nei campi i semi della creatività del futuro. Il teatro è nato: per sognare, per conoscere, per resistere e lottare, per portare un fiore nel cuore. Il ritorno di Koreja comincia da qui: incontrandoci nel desiderio di essere normali.

Nella poesia la nostra cura, nelle parole la salute del
pensiero

“io mi trovo il vecchio cuore, e pago

il tributo ad esso, con lacrime

ricacciate, odiate, e nella bocca

le parole della bandiera rossa,

le parole che ogni uomo sa, e sa far tacere”

Poesia di Pierpaolo Pasolini (Garzanti Milano 1964).

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immagine di copertina Giornata internazionale del clima

Giornata internazionale del clima

Visioni
di Gigi Mangia

Ricorre oggi la giornata internazionale dedicata al clima. Per noi è una giornata particolare di riflessione, di ricerca per trovare un modo per costruire un’alleanza che porti a trovare un nuovo Umanesimo. Il teatro e i musei, i poeti e gli architetti, la scuola e l’ecologia sono le agenzie culturali che possono indicare un nuovo alfabeto per abitare e vivere la città. L’Umanesimo, nel passato, ebbe la forza di liberare l’uomo dall’ oscurità, di guidarlo al nuovo pensiero e, soprattutto, di rafforzare la fiducia delle sue capacità. Il nuovo Umanesimo dovrebbe continuare la pedagogia del vecchio, per questo serve una strada nuova di riflessione su come vivere e usare la cultura in tutte le sue manifestazioni e in tutti i suoi linguaggi. Dobbiamo, quindi, rispondere a come costruire la distanza sociale attraverso un nuovo modo di vivere i rapporti; in particolare ragionare su come l’uomo possa trovare la strada per superare la maschera che ha segnato la crisi dei rapporti e ha messo in discussione gli spazi sociali come il teatro, il museo, la scuola e, in generale, la città. Chi pianta un albero, salva la Terra.

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immagine di copertina Lettere di Ovidio al Teatro

Lettere di Ovidio al Teatro

Visioni
di Gigi Mangia

Guido Piovene, descrivendo la città di Lecce, affermava
che è da considerare L’Athene, Capitale del Barocco nel Mediterraneo.

Nel lontanissimo passato il linguaggio figurativo era quello più accessibile alla conoscenza perché utilizzava molto la percezione e meno il logos e, quindi, era più facile alla comprensione del popolo. Nei tempi lontani le arti figurative, la letteratura e la musica non erano discipline ma linguaggi, ricerca della storia e della conoscenza dei popoli. Erano la narrazione dell’Atlante delle imprese di gloria. Il teatro e il museo, quindi, non sono luoghi separati, ma uniti; sono due finestre aperte sulla creatività che, con l’immaginazione, porta la realtà nel teatro e la trasforma in arte. Il vaso di Arianna rappresenta l’angoscia e la sofferenza del pensiero dei nostri giorni, disarmato ed incapace di prefigurare il futuro. La mano di Dionisio sulla spalla di Arianna conferma la necessità e la validità del mito ed enuncia l’insufficienza di una società che oltre ad aver perso i valori, ha perso anche un dio. Il dramma, la sofferenza, l’inadeguatezza del pensiero fa emergere con forza il corpo, il genere femminile perché, nel genere femminile, continua ancora a nascere il fiore, cioè la vita. Nei gesti raffigurati c’è tutta la contemporaneità dell’interpretazione dei vasi, che trova nuova vita nel linguaggio del Teatro.

Oggi abbiamo iniziato un modo nuovo di vivere il museo
perché congiungendo la forza delle parole alla forza delle immagini. Le
immagini mute dicono nulla, le parole vuote rendono difficile la conoscenza.

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Riaprire la scuola

Visioni
di Gigi Mangia

La paura è come un serpente, striscia e spaventa, genera comportamenti irrazionali che possono anche sfociare nella sindrome della tana, ovvero del preferire la sfera protettiva della propria dimensione domestica alla relazione/confronto con i propri simili. Sappiamo benissimo però che sia i bambini che gli adolescenti sono in condizioni normali naturalmente votati alla socialità e al confronto anche conflittuale con i propri pari età, e la scuola è fin dalla sua origine, lo spazio privilegiato in cui la socialità si sviluppa e si articola magari cercando con innumerevoli sforzi di essere inclusiva e propositiva. È evidente a tutti che le esigenze sanitarie e di sicurezza che hanno portato alla chiusura delle scuole se hanno salvato migliaia di vite hanno d’altro canto commissariato la crescita sociale dei minori e in molti (troppi per la verità) casi hanno negato anche l’accesso al sapere e alla conoscenza. Tra le tante distorsioni di questa situazione non possiamo trascurare anche il fatto che il lockdown ha isolato i bambini disabili, aggravando i problemi dei loro genitori a volte impossibilitati anche a partecipare alle lezioni a distanza. I diversamente abili sono pluriminorati, la loro partecipazione alle attività è difficile, complessa e perciò può svolgersi solo in presenza. Per un bambino disabile l’isolamento è una fatica inspiegabile così come per la famiglia invece è la prova più impegnativa perlopiù lasciata sulle spalle delle mamme, magari non esperte e capaci solo con la forza del cuore di corrispondere ai bisogni più evidenti. In questo senso molto poteva essere fatto e molto dovrà essere fatto quando le condizioni lo consentiranno così come dovrà essere fatto per recuperare i danni provocati anche verso un altro aspetto della questione.  L’Italia sulla scuola inclusiva ha la legislazione più avanzata, spesso però poco applicata e le lezioni a distanza hanno aumentato le differenze sociali a discapito dei soggetti più deboli, i figli senza né biblioteca né stanzetta e né tablet. Conseguenza inevitabile, come riscontrato nelle realtà sociali più difficili sia del Sud che del Nord è stato l’aumento della dispersione scolastica.

Condividiamo pertanto l’appello rivolto nei confronti del Governo Italiano da quanti, intellettuali, insegnanti e genitori pensano che sia quanto mai urgente rivedere l’impostazione conservativa e prudente finora adottata per studiare e adottare quelle soluzioni che garantendo sicurezza e qualità della vita consentano di riaprire le scuole. Il tablet non potrà mai surrogare il valore profondo della scuola in presenza.

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immagine di copertina Le parole ci cambiano

Le parole ci cambiano

Settimana nove

Visioni
di Giorgia Cocozza e Anđelka Vulić

Buongiorno ragazzi, sviluppiamo ulteriormente il nostro gioco: vorremmo movimentarlo un po’ ascoltando le vostre voci. L’attore e regista francese Jean-Louis Barrault diceva che “l’attore è colui che col suo corpo incide lo spazio e con la sua voce incide il silenzio”.

Ci avete mai pensato a quanto possa rivelarsi intimo l’ascolto di una voce? Con la nascita dei social, è molto facile scoprire il volto/corpo di qualcuno. Siamo bombardati da facce, di conoscenti e perfetti sconosciuti. È molto più raro e (forse) prezioso, invece, incontrare la voce di qualcuno. Sentir parlare una persona può stravolgere istantaneamente la percezione che abbiamo di lei o di lui. Infatti, attraverso il timbro vocale, il colore di una voce, la sua intensità e tono, il suo ritmo, le sue pause e respiri, il suo volume, le sue inflessioni regionali e, probabilmente, i suoi difetti di pronuncia, una voce può trasmetterci innumerevoli sensazioni. Una voce poi cambia nel tempo, così come cambia la pelle delle persone. Chi lo sa come sarà la voce dei nostri figli, se ne avremo. Bene. Da adesso giochiamo anche con le voci. Le vostre.

Il gioco è questo:

  1. Chiedersi: Come mi sento oggi ?
  2. Scegliere un’opera d’arte che racconti visivamente le mie sensazioni;
  3. Scegliere una parola che descriva il mio mondo interiore oggi e, quindi, l’opera d’arte scelta.

*Pratica in Cerca di Teoria under 17 – esperimento di
laboratorio a distanza per la costruzione di pensiero.

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immagine di copertina Sognare

Sognare

Visioni
di Gigi Mangia

Sognare è un’attività fondamentale per la salute, in modo particolare per quella dei bambini. La ricerca sta approfondendo il cambiamento del sognare in tempi di quarantena, di distanza sociale, di allontanamento delle figure fondamentali della vita dei bambini: dai nonni alle maestre ai compagni di gioco. Un forte impatto emotivo sulla persona è dato dal linguaggio e dai dispositivi di difesa sanitaria dal Coronavirus come le mascherine e i guanti. Lo specialista, volto noto al grande pubblico, Massimo Recalcati, parla di cambiamenti profondi del sognare. Ai bambini è molto difficile parlare di paura quando il pericolo è invisibile.

Convincere i bambini che la mascherina serve ad evitare il contagio non risulta essere facilmente comprensibile. Il divieto di abbracciare il nonno è subìto come un castigo incomprensibile. I bambini, nella loro lotta al Coronavirus, sono i più penalizzati e i più soli, perchè sono stati allontanati dalle figure di riferimento più significative per la loro affettività. L’inizio della relazione sociale “io-tu” del bambino è quella con la sua mamma, con la conoscenza del suo volto e della sua voce. Per il bambino vedere il volto mascherato della mamma è percepito, emotivamente, come smarrimento nella paura. La solitudine del bambino senza scuola, senza teatro, senza nonni e senza compagni diventa uno spazio di reazione in cui attivare energie creative. Per lui, sotto ad un tavolo c’è un teatro dove recitare storie; una sedia può diventare un cavallo per raggiungere i nonni, i compagni di gioco, le maestre. Il bambino non è un attore, ma un creatore di rappresentazione; per lui l’arte non è un mestiere, ma la vita.

Così saggiamente insegnava nella “Fantastica” il grande conoscitore dei bambini, Gianni Rodari. I bambini torneranno nel loro teatro e porteranno tutte le difficoltà emotive vissute nel tempo di quarantena. Per loro bisogna preparare un’accoglienza festosa e predisporre un laboratorio di ascolto ai loro liberi racconti di esperienze di solitudine. Il teatro è libertà di fare, di parlare, di ascoltare, di inventare storie. Il teatro è cura ed educazione della sfera emotiva dei bambini. Le famiglie si devono fidare e devono credere.

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immagine di copertina Le parole ci cambiano

Le parole ci cambiano

Settimana otto

Visioni
di Giorgia Cocozza e Anđelka Vulić

Buongiorno ragazzi, sviluppiamo ulteriormente il nostro gioco: vorremmo movimentarlo un po’ ascoltando le vostre voci. L’attore e regista francese Jean-Louis Barrault diceva che “l’attore è colui che col suo corpo incide lo spazio e con la sua voce incide il silenzio”. Ci avete mai pensato a quanto possa rivelarsi intimo l’ascolto di una voce? Con la nascita dei social, è molto facile scoprire il volto/corpo di qualcuno. Siamo bombardati da facce, di conoscenti e perfetti sconosciuti. È molto più raro e (forse) prezioso, invece, incontrare la voce di qualcuno. Sentir parlare una persona può stravolgere istantaneamente la percezione che abbiamo di lei o di lui. Infatti, attraverso il timbro vocale, il colore di una voce, la sua intensità e tono, il suo ritmo, le sue pause e respiri, il suo volume, le sue inflessioni regionali e, probabilmente, i suoi difetti di pronuncia, una voce può trasmetterci innumerevoli sensazioni. Una voce poi cambia nel tempo, così come cambia la pelle delle persone. Chi lo sa come sarà la voce dei nostri figli, se ne avremo. Bene. Da adesso giochiamo anche con le voci. Le vostre.

Il gioco è questo:

1) Chiedersi: “Come mi sento oggi?”;

2) Scegliere un’opera d’arte che racconti visivamente le mie sensazioni;

3) Scegliere una parola che descriva il mio mondo interiore oggi e, quindi, l’opera d’arte scelta.

*Pratica in Cerca di Teoria under 17 – esperimento di
laboratorio a distanza per la costruzione di pensiero.

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immagine di copertina Racconti a catena

Racconti a catena

storie di stanze in stanze #2

Visioni
di Emanuela Pisicchio

Il passaparola è partito, piano piano raggiungerà tutte le stanze di tutti i bambini e le bambine del Cantiere dei piccoli. Per una storia collettiva che nasce giocando. Ho il sospetto che questa storia potrebbe non finire mai. Si precisa che Nessun giocattolo è stato maltrattato durante le riprese.

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immagine di copertina Pratica in cerca di pratica

Pratica in cerca di pratica

Visioni
di Emanuela Pisicchio*

Cosa resta di una Pratica che deve fare a meno della sua pratica?

Il nostro lavoro si è fermato all’improvviso, abbiamo dovuto abbandonare una sala prove che traboccava di immagini, oggetti, costumi e parole. Se si potesse spiare al suo interno, forse ci potremmo scorgere ancora il tavolo ricoperto da una tovaglia rossa, una camicia verde acqua, una lanterna ancora accesa, un cappello verde, una sedia, un abito bianco e un fioco controluce.

Abbiamo incontrato alcuni personaggi, li abbiamo vestiti, abitati, ne abbiamo ricercato la camminata, la postura, la voce, le parole. Abbiamo piegato, tirato, strappato, sbattuto e accarezzato la tovaglia rossa. Silenziosa testimone di un mondo in divenire. Quinta, sipario, riparo. Dopo giorni di silenzio, qualcuno si è riavvicinato al proprio personaggio. Lo ha chiamato per nome, pizzicandogli la guancia, invitandolo a camminare un po’ e a raccontarsi. Per quello che è adesso. Queste sono le parole di Caterina della “Bisbetica Domata”, attraverso gli occhi di Sabrina.

La scena è un ambiente scuro, cupo.

Al centro solo il letto e un lenzuolo quasi invisibile che lascia trasparire le linee di un corpo femminile in vesti succinte: calze a rete, una minigonna attillata e un top nero.

Nella penombra Caterina aspetta che passi la notte, sola e infreddolita, rannicchiata a sinistra, in posizione fetale.

Sulle labbra ha ancora un alone del suo rossetto rosso e qualche traccia di trucco. Ha pianto e ha uno sguardo fisso.

CATERINA

Questo tempo è grigio. Non se guardo fuori dalla finestra. Neanche dentro di me, dove regna una serenità quasi surreale, improbabile… sono io davvero?

Sì.

E dove sono? Dove non dovrei essere.

Una pausa nel sogno… Un fermo immagine in cui ho accolto tutto tranne il giudizio.

Non riesco a formularne uno accettabile, comprensibile, e d’altra parte mi ha sempre fatto male, non può essere tra le mie ancore di salvezza.

Non so cosa stia accadendo ma è certo che io continuo ad essere, inesorabilmente, quella del passato che si confonde col presente.

Una volta sono stata sicura, fiera nell’aspetto e nella mia corteccia interna. Poi ho attraversato il tempo immobile, nel bene e nel male. Ho visto solite storie, finzioni standard, perbenismo ghiacciato, banali matrimoni, cinismo inaspettato, morti insondabili ed egoiste.

E io sempre uguale, fedele alle mie lacrime. Una me oscillante tra allora e oggi.

Ora i miei occhi si sono ritratti, come tante volte in cui non vedere mi ha protetto.

Vivo nascosta dentro al mio corpo, che mi ha sempre fatto da scudo. Sotto molti strati, indietro. Non sento, ho fame e ho sete perché devo averle.

Ma, finalmente, attorno a me la calma piatta, e una serenità che ho desiderato tanto regna dentro di me, legittimata da un destino comune agli altri.

Finalmente a casa. Quale casa?

Ancora niente, non la tua, che forse non esiste.

Ora nessuno di noi ha quello che aveva prima o può avere quello che sperava: un mondo effimero e indefinibile. Nessuno può ambire più a relazioni sociali, niente invidia, gelosia, rivalità, conflitti, lotte, affanni, affermazione sociale, successo.

E io?

Niente sensi di colpa.

Finalmente siamo tutti uguali. Io non sono meno donna di altre, neanche il tempo può togliermi niente di più di quello che sta togliendo a loro.

Mi toglie solo quello che faticosamente stavo lottando per avere.

Hai detto niente.

In più nel frattempo sto crescendo.

Questo calore che assale le mie 48 primavere, sole, mare, lacrime, vento, ricerca, cuore, fretta, non amore, Torino, Roma, ritorno, delusione, il tutto passato e il tutto fermo… è quello di una donna-mondo che avverte un dolore che non ha mai conosciuto, che può solo ‘subire’.

Ogni tanto è una tenerissima stella che splende dentro e ogni tanto si spegne da sola per non abbagliare all’esterno.

Ora sono la persona di un presente forzato, in cui tutto è quello che deve essere, quello che bisogna fare, sfrondato da tutte le paure, i capricci di un tempo di cose futili, ripetitive e sovrabbondanti, niente trucco, niente compromessi socializzanti voluti per farmi crescere e impedire alla solitudine di essere mia madre.

Parole, rifiuti, corse, nonamore, nonamicizia, paura. Tutto finito.

Ora regna l’immobilita’ fisica, è così, deve essere. Non c’è più nessuno attorno che mi sta aspettando, tutto finito, niente orari, niente vestiti, lavaggi, corse, dovere, obbligo, obbligo, poco piacere, fatica, ambizione, macchina, sogni che si realizzano, forse. Niente.

Soprattutto non ci sono più uomini…

No aspetta. Non ci sono mai stati.

Nessun marito. Nessun essere penoso, esemplare ‘dotato’, di quella specie di personaggi che ti invitano fuori fingendo interesse per il tuo ‘patrimonio intellettivo’, o di quelli che non ti invitano, come se tu fossi un drago, perché neanche loro vedono le tue ali, lì dietro…

No non lo voglio un uomo, sarebbe tutto inutile. E poi è proibito anche quello.

Questo penso, immobilizzata dagli eventi.

Eppure la mia mente corre, si affanna, fa, dice, pensa, progetta, esplora, e corre, formula, concilia, previene, pensa, cura, accoglie. Questa folle corsa virtuale che sta impegnando tutto dentro di me per non farmi realizzare cosa c’è fuori… o forse, più evidente-mente, mi evita di pensare di essere tornata nel mio antico ‘nido’ scomposto…

In tutti i modi ci risiamo ancora.

Sto nuovamente trascurando la mia piccola, questa volta per piccoli altri. Continuo a non voler ascoltare i suoi richiami, le tolgo voce, ora del tutto, sperando come sempre che possa capirmi… Proprio ora che stavo iniziando a vedere la mia luce, la voglia di una vita diversa… Proprio ora che stavo riuscendo ad essere io genitore di me stessa, donna senza essere figlia… Niente.

Mi sento risucchiata in una prigione.

E ancora una volta ho dovuto rinunciare anche alla mia Libertà. Io non ho bisogno di riflettere senza di Lei. Non siamo una coppia affiatata, è evidente, e sembra infinita questa ricerca di un’intesa possibile… Ma è lei che ogni tanto deve mettermi sul comodino e guardarmi da lontano perché non ha tempo. È di quelle stronze che maltrattato proprio le persone care. Comunque io aspetto, lo sto facendo da una vita ormai, e d’altronde non posso fare altro. 

da “Pratica in cerca di teoria #2”, laboratorio di Koreja diretto da Emanuela Pisicchio.

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